Giardini di pietra
Sotto un sole che più sole non si poteva, mi son calato nella gran cavea dei Sassi, e dal fondo della gravina traforata da mille aperture a mo’ di necropoli di Pantalica, da quell’imbuto cui corrispondeva in alto un’altra immensa cavità – un cielo d’un azzurro indescrivibile -, attonito, non riuscivo a saziare lo sguardo. Dappertutto una cascata di case e abituri, rifugio un tempo di uomini e animali in fraterno sodalizio, prima che la bonifica di alcuni decenni fa decretasse il loro spostamento altrove. Dappertutto pietra. Tutto lì era fissità, silenzio, sotto quel sole canicolare, come per un incantesimo. Ma era mai esistito qualcuno ad abitare quei luoghi, o non era piuttosto uno scherzo di natura ad aver dato a quel solitario vallone le parvenze di un presepe? Poi, di botto, uno scoppio festoso di campane. Le note si rincorrono vibranti, sembrano franare a precipizio per scalette, rampe e viuzze all’infinito. Impossibile dire da dove nasceva quello scampanio in quanto, rimbalzando lungo le pareti della gravina, l’eco ingannevole ne moltiplicava la fonte. È stato allora che ho ricordato: quel giorno Maria – venerata come “la bruna” nella frescura dell’alta cattedrale, come pure nelle tante chiese rupestri dei dintorni – veniva assunta in cielo. Aveva portato con sé, mi veniva da pensare, anche i sospiri e le poche gioie di un’umanità dignitosa che lì fra quelle pietre aveva vissuto fin dalle epoche più remote. Maria, vena segreta di Matera, come in certe sue grotte da cui, pur nell’arsura, continua a stillare un filo d’acqua. Il tumulto delle campane si smorza, improvviso come è sorto. Di nuovo impera il silenzio. Ma a riguardarli, questi Sassi non sono più gli stessi. Sembra che una immensa speranza sia passata. Così mi si era “rivelata” la Matera dei Sassi un 15 d’agosto di diversi anni or sono. Ma ogni rivelazione apre la via ad un necessario approfondimento: in cosa consiste, ad esempio, la sapienza costruttiva di un tale insediamento trogloditico, che tipo di vita vi si conduceva e quali stimoli ne derivano per noi moderni? La lettura di Giardini di pietra, lo stupendo omaggio dedicato alla sua città da Pietro Laureano, mi è valsa come seconda incursione nella gravina materana, utile per trovare risposta a queste e ad altre domande. Mi è parso così di venire introdotto per prima volta nello spirito di questo sito rupestre unico al mondo per estensione, varietà e qualità, ed anche per continuità dell’uso abitativo fin dal Neolitico), attraverso l’ originale chiave di lettura fornita dall’autore. Laureano, infatti, architetto e urbanista di fama e consulente dell’U nesco per le zone aride, la civiltà islamica e gli ecosistemi in pericolo, ha considerato il territorio nella sua globalità e nella sua dimensione storicosociale, così come in quella geografica e ambientale, inserendo il particolare “modo di abitare” rappresentato dai Sassi in un disegno comune a molte civiltà fiorite attorno al Mediterraneo. Partito dalle ricche memorie di un passato primordiale, ha inteso verificare i riflessi nell’evoluzione dei manufatti e delle abitazioni dovuti alle successive trasformazioni climatiche e paesaggistiche, assieme ai drastici cambiamenti nell’organizzazione sociale delle popolazioni. Grotte naturali, architetture ipogee, cisterne, recinti trincerati, masserie, chiese e palazzi scavati o costruiti nel tufo delle gravine: insediamenti così diversi che tuttavia si armonizzano nel comune intento di sfruttare al meglio le difficili condizioni geografiche – ad esempio con efficienti sistemi di recupero e canalizzazione delle acque – in analogia con altri esempi delle zone aride, quali si possono rinvenire in Tunisia, Eritrea, Cappadocia, Giordania e Yemen. L’impatto della modernità con un ecosistema così delicato è risultato distruttivo, al punto che Matera, ancora descritta in cronache cinquecentesche come “città dotata di aria salubre e abitata da uomini ingegnosi”, diventava ai giorni nostri una “vergogna nazionale”, simbolo dell’arretratezza meridionale. Solo il mutato clima culturale, di cui quest’opera è una testimonianza, ha permesso l’avvio di un processo di recupero e di valorizzazione. L’iscrizione dei Sassi nel Patrimonio mondiale dell’Unesco è giunta poi a suggellare, come scrive Laureano, la “fine della vergogna”. E ciò grazie ad un nuovo modo di intendere l’eccezionale, lo straordinario, che può celarsi anche in “segni minimali che racchiudono in materiali non preziosi la sapienza di un popolo, elementi singoli che acquistano rilievo solo nell’insieme e costituiscono un tutto, espressione di una cultura e concezione del mondo”. Matera, il primo sito al mondo dichiarato “paesaggio culturale”: non solo una architettura di straordinario fascino, ma un modo di vivere. Laureano, questo figlio della Lucania e della gravina, esalta l’una e l’altro in un’opera che è al tempo stesso scienza, poesia, amore.