Giappone, ben più di un terremoto
Il Giappone è stato messo in ginocchio da uno dei più devastanti sismi della storia, accompagnato da uno spaventoso tsunami.
Nonostante la meticolosa preparazione in caso di terremoti, praticata regolarmente e con grande serietà dalla popolazione, il Giappone è stato messo in ginocchio da uno dei più devastanti sismi della storia, accompagnato da uno spaventoso tsunami. Ma è un Paese tenace e dignitoso. Un Paese che ha già dimostrato di sapersi riprendere da immani tragedie. Il Giappone è un Paese membro del G8/G20, ed è uno dei principali donatori in termini di aiuto allo sviluppo. È la terza economia mondiale ed è al quarto posto per il commercio su scala globale. Proprio sul piano internazionale si potrebbero verificare le ripercussioni più significative. Le conseguenze economiche della distruzione non solo graveranno su un Paese che ha il debito pubblico più alto del mondo industrializzato (200 per cento del Pil), ma, per il peso che il Giappone ha sull’economia mondiale, potrebbero inibire la già debolissima ripresa globale. Inoltre, gli alti indennizzi che le compagnie di assicurazione dovranno erogare non sono cosa da poco.
Sul piano politico, la solidarietà che si è innescata a livello regionale (oltre che globale) potrebbe condurre a migliori relazioni tra Giappone, Corea del Sud e Cina: tre Paesi che sono stati storicamente in notevole frizione e che proprio l’emergenza potrebbe riavvicinare. Non a caso la Cina ha voluto dare grande ufficialità alla missione di esperti in protezione civile e gestione dei disastri naturali inviata in Giappone nei giorni immediatamente successivi al sisma. Per non parlare dell’emergenza verificatasi per i danni alle centrali nucleari, che ha suscitato in tutto il mondo un vivace dibattito. Il sociologo tedesco Ulrich Beck, qualche anno fa, aveva coniato l’espressione «società globale del rischio»: viviamo un mondo nel quale pericoli e catastrofi non sono più chiusi nei confini di un solo Paese. Sarebbe perciò il caso, pensando non solo alle centrali nucleari, ma anche al fatto che le forze della natura non rispettano certo le frontiere, di evitare di considerare le scelte che riguardano attività o situazioni rischiose come un fatto esclusivamente nazionale, di globalizzare la prevenzione e di coordinare meglio la risposta alle crisi “trans-nazionali”.