Gianni Rivera
Alla vigilia del Mondiale il sistema calcio italiano è in crisi: una rete oscura di sudditanze, intimidazioni, prevaricazioni. Gianni Rivera, grande campione con il Milan e con la nazionale, oggi parlamentare europeo, che giudizio dà di questo scandalo? Che nel calcio italiano fosse in atto un tentativo di forzare la mano, soprattutto sul piano della sudditanza psicologica, era un sospetto diffuso, presente da tempo anche all’interno dell’ambiente. Del resto la sudditanza psicologia esiste dappertutto: se incontriamo una persona ricca pensiamo che sia anche intelligente solo perché condizionati dalla sua posizione e dalla sua immagine. Nel calcio il potere di alcune società rispetto ad altre incide parecchio: gli arbitri hanno un certo timore di essere rifiutati dalle grandi società e finiscono, nel dubbio, per stare dalla loro parte. Il sistema calcio italiano ha i mezzi per venirne fuori? È stato chiesto anche a lei di intervenire? Ne può venire fuori benissimo perché al suo interno la maggioranza è sana, visto che la sudditanza, è accertato, è nei confronti di pochi. Occorre un intervento forte, occorre ricostruire un’organizzazione che, prima di tutto, faccia rispettare le leggi che esistono. E questo già sarebbe un risultato eccezionale. E poi un’organizzazione che garantisca ad ogni singolo soggetto (arbitri, giocatori, tecnici, dirigenti n.d.r.) di godere di una propria autonomia e di non essere schiacciato da coloro che hanno più potere finanziario, quello che alla fine incide su tutto il resto. Il mio nome lo fanno soprattutto dall’esterno, mentre all’interno sono convinti che questo sistema vada comunque salvaguardato, perché devono essere preservati gli interessi di chi oggi vive nell’ambiente. Credo che non ci siano le condizioni perché io possa avere un ruolo, ma sono convinto che anche puntare su un cambiamento fra i soggetti che stanno all’interno sia sufficiente. Visto che ormai arrivano gli ex-sindacalisti dappertutto, a dirigere il calcio potremmo mettere il presidente dell’Associazione calciatori, Sergio Campana. I calciatori, alla fine, sono gli unici effettivamente interessati a far sopravvivere il calcio: punterei su di lui. Credo che nei suoi confronti nessuno nutra dei dubbi, né sul piano delle capacità, né su quello della giustizia, della regolarità, dell’imparzialità, come ha dimostrato, per anni, prima da giocatore e poi da responsabile dell’Associazione . Dall’Europa possono venire indicazioni utili e concrete per salvare il calcio? Si sta lavorando ad una direttiva che dia un indirizzo al Consiglio d’Europa su questi problemi, come è stato per la sentenza Bosman (sulla libera circolazione dei lavoratori-giocatori n.d.r.). La difficoltà sta nel fatto che lo sport, calcio compreso, non era stato individuato a suo tempo come un settore da salvaguardare, come avvenuto per la musica e per la cultura, delegando tutto al mercato interno di ogni paese. Se vogliamo salvaguardare alcune attività, che hanno un forte significato di immagine prima che di organizzazione economica, gli interessi dei singoli dovrebbero essere messi un po’ da parte. Sono necessari un riequilibrio delle risorse per livellare i tornei e regole precise di salvaguardia dei vivai. Da quando sono le televisioni, più che la biglietteria, a sostenere economicamente le società di calcio è chiaro che la trattativa singola avvantaggia troppo le grandi società a discapito di tutto il movimento. Dobbiamo puntare ad una trattativa collettiva per quanto riguarda i diritti televisivi, vincendo la forte resistenza da parte dei grandi club che questa differenza la vogliono continuare a mantenere. Da questo cambiamento nasce anche la salvaguardia dei vivai, messi in crisi da quel tipo di sistema. Credo che siano ormai maturi i tempi per una rivoluzione culturale nel mondo del pallone: se si vuol salvare il calcio bisogna cambiare organizzazione, superando imposizioni e prevaricazioni. Altrimenti lo sport potrebbe anche non essere più così come lo immaginiamo .