Gianna Beretta Molla, madre e medico

«Offrì la sua vita per non violare il mistero della dignità della vita» ricordava il cardinale Carlo Maria Martini nel retro della medaglia di beatificazione

Il 24 aprile 1994 Giovanni Paolo II, in Piazza San Pietro, proclamò Gianna Beretta Molla beata come “madre di famiglia”. Nata il 4 ottobre1922, a Magenta, da genitori profondamente cristiani, decima di 13 figli, vicina forse a tante donne di oggi, che riescono a muoversi fra mille attività: madri di famiglia, mogli appassionate, amanti dello sport, non immemori però della loro missione di professioniste nel mondo. Anzi più che consapevoli della validità di quest’ultimo ruolo. Nello specifico, Gianna era un medico, specializzato in pediatria. Tra i suoi assistiti vi erano poveri, mamme, bambini e anziani, a cui non si stancava mai di dare assistenza, sia per il corpo che per l’anima.

Gianna si è però contraddistinta per qualcosa in più: la sua adesione al Dio della vita che l’ha resa capace di accogliere con serenità anche il mistero del dolore. Il 6 settembre del 1961, incinta di due mesi del suo quarto figlio, viene messa alla prova: le viene asportato un voluminoso fibroma uterino. Alla richiesta dei medici d’interrompere la gravidanza per proseguire le cure farmacologiche, rifiuta e si affida alla preghiera. Prega e fa pregare per questa vocazione che sente anch’essa dono di Dio, perché «dal seguire bene la nostra vocazione – è solita dire – dipende la nostra felicità terrena ed eterna». Alcuni giorni prima del parto chiede al marito Pietro: «Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete, lo esigo, il bimbo. Salvate lui».

Il 21 aprile Gianna Emanuela Molla viene così alla vita, per via cesarea, ma la sua “santa mamma” (come ha preso presto a chiamarla quando ha cominciato a prenderne consapevolezza) dopo poche ore dal parto si aggrava con febbre sempre più elevata e sofferenze addominali atroci, da peritonite settica. Nonostante le cure praticate, le sue condizioni peggiorano. Pur nell’agonia, ripete: «Gesù ti amo».

All’alba del 28 aprile viene riportata, come da suo desiderio, nella casa di Ponte Nuovo di Magenta, dove muore alle 8 del mattino, dopo aver udito la voce dei suoi “tesori”, svegliatisi per il subbuglio.

Un silenzio incredulo domina – immaginiamo – presto tutta la casa. Che sentimento dovevano infatti provare i figli, il marito, i parenti, i conoscenti? Questa donna aveva osato troppo (non accettando di abortire e di aver salva la sua vita), rischiando, imprudentemente, di lasciare sola un’intera famiglia (per giunta numerosa), i suoi pazienti, suo marito (con cui era divenuta negli anni un tutt’uno) e di godere dell’incanto del creato, come se esso stesso fosse di poca importanza? Gianna, amando tutte le cose sopra citate, aveva chiesto al Signore di “allontanare il calice della sofferenza”. Ma poiché aveva capito che questo non rientrava “nei suoi piani di salvezza” (la salvezza cioè delle anime che supera la morte del singolo in questa vita), si era rimessa alla volontà del Padre senza ripensamenti.

Immersa in questa atmosfera di fede e amore, si è spenta in odore già di santità. Perché la sua eco si è subito espansa nel mondo. E ieri, come oggi, santa Gianna Beretta Molla continua ad essere modello di madre e medico, un faro per le giovani generazioni di donne che devono scegliere fra l’aborto e la vita che portano in grembo. «Possa il suo sacrificio – ha detto Giovanni Paolo II – infondere coraggio in quanti si adoperano, mediante l’impegno personale e comunitario, nel Movimento per la Vita e in altri simili organismi, perché la dignità intangibile di ogni umana esistenza sia riconosciuta, dal momento del concepimento sino al naturale tramonto, come valore prioritario e fondante rispetto ad ogni altro diritto umano e sociale».

È stata  proclamata santa il 16 maggio 2004. La sua festa è il 28 aprile.

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