Gianmaria Testa, ritratto di un artista tranquillo

Un cantautore di quelli che di rado se ne vedono in giro di questi tempi: pacato, colto senza mai esibirlo, pieno di poesia, lontano dai cliché sensazionalisti di un ambiente che ci ha messo troppo tempo ad accorgersi del suo talento. Ci ha lasciato, stroncato da un male incurabile, in una mattina di primavera: senza far rumore, com’era nel suo stile
Gianmaria Testa

M’è sempre difficile dar l’addio a un artista senza scadere nel retorico o lasciarmi prendere da un eccesso di struggimento emotivo, tanto più avendolo conosciuto personalmente, e apprezzandolo non solo come compositore e interprete, ma anche per il suo modo di esserlo.

 

Gianmaria Testa, il “cantautore ferroviere” (era capostazione nella Stazione di Cuneo e ha continuato a lavorarci ben dopo aver trovato il successo), era legato alla sua terra e da questa aveva preso umori e temperamento, radici culturali, nonché quell’understatement tutto piemontese che ha sempre segnato la sua poetica e il suo approccio alla vita. Era uno che non se la tirava per niente, uno che non era cambiato di una virgola quando, a partire dalla seconda metà dei '90, venne trasformato dai francesi (anche grazie a un trionfale concerto a l’Olympia), da misconosciuto menestrello di nicchia a stella del nuovo cantautorato europeo. E non è cambiato neppure quando finalmente anche l’Italia, che fino a quel momento non se l’era filato per nulla, s’era accorta che sotto quei baffi contadini e lo spirito arguto c’era la tempra di un poeta vero, uno di quelli riconducibili all’imprinting dei nostri cavalli di razza, da De Andrè a Fossati. Un uomo semplice e un artigiano della musica, ma dotato di una penna profonda, capace come poche altre di raccontare gli ultimi e i marginali, di scandagliare i fondali della vita e i minuscoli spostamenti del cuore attingendo sempre dal proprio vissuto.

 

Stimatissimo dai colleghi, adorato da chi alla musica chiede qualcosa di più di canzonette, Testa ha dovuto arrendersi, ad appena 57 anni, a un brutto tumore del quale aveva parlato pubblicamente l’anno scorso. Era un autodidatta, cresciuto in una famiglia di agricoltori. Vinse due volte il prestigioso Musicultura di Recanati, ma i suoi primi dischi li pubblicò in Francia: il primo, Mongolfières nel 1995, cui seguì l’anno seguente Extra-Muros, un successo che gli dischiuse le porte del più famoso tempio della musica europea. Di riflesso, si cominciò a parlare di lui anche in patria; Il valzer di un giorno, il primo disco pubblicato in Italia, è del 2000, cui seguì nel 2006 un impegnativo e suggestivo concept-album dedicato ai migranti “di ieri e di oggi”: Da questa parte del mare, un lavoro per molti versi tristemente profetico. L’ultimo disco è Men at work, registrato dal vivo durante alcuni suoi concerti: una dimensione che gli fu sempre assai congeniale (oltre 3 mila show in carriera), unitamente al piacere di condividere esperienze e affinità elettive con artisti del calibro di Erri De Luca, Paolo Rossi, Giuseppe Battiston, Michele Serra.

 

Un artista eclettico, capace di frequenti incursioni letterarie e teatrali. Testa ha pubblicato tre libri di racconti e fiabe per grandi e bambini e a giorni uscirà per Einaudi Da questa parte del mare, un libro parzialmente autobiografico, ma anche ispirato, guarda caso, dalle storie sulle quali venne costruito l’omonimo disco del 2006. In contemporanea, la sua etichetta discografica, Egea Music, pubblicherà il vinile di quel piccolo capolavoro di struggimenti e umanesimi degni di venir riscoperti. Non solo: il 5 maggio al Teatro Colosseo di Torino – e poi in giro per l’Italia – Paolo Rossi porterà in scena RossinTesta, uno spettacolo di teatro canzone con le musiche che Gianmaria ha scritto per lui negli anni e per questo specifico progetto: l’ultimo regalo di quest’artista riservato, onesto, illuminato. Scommettiamo che adesso anche gli ultimi ritardatari s’accorgeranno di lui?

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