Gianfranco Polimeno: “Amò sino alla fine”
Già il 24 ottobre 2008 nel Collegio San Giuseppe di Torino la sua vita era stata presentata a religiosi e religiose di oltre venti Famiglie che hanno conosciuto o ricordato un testimone di una “nuova dimensione della vita consacrata”, animato dal carisma dell’unità di Chiara Lubich.
Ma chi è fratel Gianfranco?
Gianfranco (Antonio) Polimeno nasce a Parma il 7 settembre 1937. Figlio di Antonio e di Carolina, è il primo di due figli.
Il piccolo Antonio frequenta la scuola presso l’Istituto
Tra tutti, una venerazione più viva Gianfranco l’ha sempre dimostrata verso Ambrogio Ravelli. Per il piccolo alunno, fratel Ambrogio era il maestro per antonomasia, il primo, forse, che aveva posto il seme della vocazione nella sua anima (cf. 25). La vocazione di Gianfranco matura sui banchi di classe delle scuole dei Fratelli.
Non abbiamo testimonianze sullo sbocciare della chiamata alla vita religiosa. Però sappiamo che il 14 ottobre 1951, accompagnato dal papà, giunge a Villa Amalia (Erba) per frequentare le Magistrali. Antonio viene accolto da Riccardo Ughetto, un uomo di poche parole, ma dall’animo tenero e sensibile che forse gli ricordava la mamma, colei a cui si leggeva negli occhi, più che dalle parole, la profondità dei sentimenti (cf. 27).
Del periodo della sua formazione lasalliana particolarmente importante è il momento del noviziato. Il suo maestro, fratel Paolo Maldino, lo accompagna alla scoperta dei sentieri della santità, donando non tanto lezioni teoriche, ma la propria viva fede e la sua esperienza. Nel 1962 conclude la sua formazione a Villa S. Giuseppe a Torino con la professione perpetua.
Gianfranco, pur mostrandosi in tutta la sua semplicità e umiltà, ha un curriculum culturale di tutto rispetto: tre lauree in pedagogia, lettere e psicologia, conseguite con il massimo dei voti. La sua vita si conclude a Torino il 24 ottobre 2005 all’età di 68 anni, lasciando una scia di luce.
L’incontro con Chiara
Quale il segreto della sua vita? Gianfranco trova nella Famiglia Lasalliana tutto ciò che è necessario per un vero cammino di santità. Sarebbe troppo lungo parlare in questo breve articolo dei Fratelli che sono stati per lui un modello di vita e che hanno segnato profondamente la sua scelta di vita consacrata.
Nel 1956 Gianfranco è inviato nella comunità di Santa Pelagia a Torino, per iniziare l’insegnamento nella scuola elementare. Qui ha un incontro fondamentale e decisivo: quello con fratel
Gianfranco scopre una grazia che, attraverso Chiara Lubich, fondatrice del Movimento, Dio dona alla Chiesa e all’umanità di oggi. Non c’è contrasto tra le due spiritualità, quella lasalliana e quella focolarina: esse si arricchiscono e si illuminano reciprocamente in una mutua donazione che parla della grandezza e varietà dello Spirito Santo.
Gianfranco partecipa agli incontri dei religiosi aderenti al Movimento, sempre in accordo con i superiori, e la sua vita lasalliana trae da questo contatto vigore e attualità. Nella sua peregrinazione, tipica della vita religiosa, Gianfranco non manca a ogni tappa di stabilire il contatto col focolare e con sacerdoti e religiosi attratti da questa spiritualità.
Dobbiamo ricordare particolarmente due sacerdoti che ebbero su Gianfranco un particolare influsso: Silvano Cola, incontrato a Torino, e Vito Chiesa, a Genova. Attraverso la testimonianza della loro vita, insieme a quella di focolarini, focolarine e dei giovani aderenti al Movimento, Gianfranco scopre la portata di un carisma che, portando le persone ad amare concretamente, fa sperimentare il dono dell’unità, invocata da Gesù nella preghiera sacerdotale.
Gianfranco scrive a Chiara il 5 gennaio 1968: “Sono un religioso dei Fratelli delle Scuole Cristiane, della stessa famiglia di fratel
La scoperta di Dio-Amore è forte, grazie al carisma dell’unità: “Sono ascoltato da Dio, io peccatore, io pigro, io pusillanime, io… Eppure amato (10.2.2005)” (76).
Il “Fantasmino”
L’influsso del carisma dell’unità nella vita di Gianfranco è però tangibile anche nel ministero dell’insegnamento, secondo la vocazione lasalliana. I professori che lo ebbero come preside lo ricordano ancora così: “Sempre disponibile ad ascoltare , a incoraggiare iniziative, a riconoscere risultati raggiunti, a condividere difficoltà, a sostenere nei dubbi, a promuovere novità didattiche, pedagogiche, spirituali, culturali. Il suo ideale era valorizzare i docenti, mai sovrapporsi a loro; era vederli protagonisti, mai esecutori di ordini; era favorirli nell’entusiasmo della creatività, mai nella succube fedeltà agli inferiori” (40-41).
Della sua tappa al Collegio S. Giuseppe di Torino rimane la testimonianza della preside Adriana Gigli: “Ricordo tanti episodi in cui senza che io parlassi si rendeva conto della fatica cui ero sottoposta; perciò arrivava in silenzio con un tè, un biscotto, a rincuorarmi e non c’era mai il tempo per ringraziarlo, perché in men che non si dica era già sparito; motivo per cui l’avevo soprannominato ‘Fantasmino’. Sempre di corsa, carico di libri, con il sorriso sulle labbra, con la parola giusta al momento opportuno, pieno di attenzioni e di delicatezze per noi colleghi; per i suoi allievi è stato più un amico che un professore. Una di quelle persone preziose, di grande bontà e dotato di un forte senso dell’humor; essere in sua compagnia era un piacere, con lui si discuteva di tutto, sempre disponibile. Quanto bene ha fatto con la riservatezza che lo distingueva” (46-47).
“Fratel Gianfranco è la viva testimonianza che l’insegnante incide su alunni e colleghi quando la professionalità è avvalorata dalla ricchezza interiore. In lui risplende la raccomandazione del
Paolo Bergami, suo ex alunno, racconta: “Affiorano tanti ricordi nella mia mente: insegnamenti, esempi, consigli, scherzi e battute spiritose. Nel groviglio delle memorie emerge una sensazione: fratel Gianfranco non era una persona appariscente, ma ‘lasciava il segno’ in noi suoi alunni. Il suo segreto era la semplicità intesa come capacità di andare al cuore delle cose perché fondata su Dio e sul Vangelo, principi che ci inculcava nei modi più impensati. Ricordo che alla domanda di uno di noi ragazzi sull’opportunità di usare l’iniziale maiuscola per pronomi e aggettivi riferiti a Dio, egli ci ha risposto: ‘Importante è che Dio sia maiuscolo nel vostro cuore’. Non ho mai incontrato un docente così teso al bene di noi alunni come fratel Gianfranco. Con il suo comportamento timido, a volte burbero, gentile e spiritoso lo abbiamo sempre sentito vicino a ognuno di noi” (43).
Al servizio dei religiosi
Gianfranco sentiva di appartenere, oltre alla sua Famiglia religiosa, anche al Movimento dei Focolari, sulla scia dei numerosi religiosi che, fin dai primi tempi del Movimento, hanno trovato in questa nuova spiritualità una sorgente a cui attingere per rinvigorire il carisma del fondatore e camminare insieme con tutti gli uomini e le donne in una unità all’altezza dei tempi.
A Torino Gianfranco inizia una nuova tappa della sua vita che lo vede al servizio della comunione di un gruppo di religiosi, allo scopo di “accogliere e coordinare l’amore di ciascuno in modo da realizzare il cuor solo e l’anima sola che il Vangelo richiede e alla quale è legata la particolare presenza di Gesù in mezzo a noi” (89).
Sentiamo le parole di Cristoforo Mezzasalma, domenicano: “Credeva con tale fermezza al dono straordinario della presenza di Gesù, generata dall’amore vicendevole, che voleva realizzare in tutti i momenti della giornata. Spesso iniziava i suoi impegni di apostolato o di studio con una telefonata a qualcuno di noi per un semplice saluto e intanto donare la situazione della sua anima e riferire qualche sua esperienza. Successi e insuccessi erano la stessa cosa, perché l’importante per lui era mettersi in comunione, non l’apparire buono. Quando ero io a chiedergli l’unità per qualche attività importante, mi impressionava la sua risposta: ‘Contaci! Sono uno con te. Uno sul serio!… e non è una parola!’” (90).
Il segreto prezioso dell’esperienza di unità in seno al Movimento era il suo rapporto diretto con Chiara. Leggiamo alcuni stralci della corrispondenza intrattenuta con lei: “Carissima Chiara, quanto abbiamo sentito in questo incontro mi spinge a rinnovare l’unità con te. Credo che in questa unità, limpida e forte come un diamante, ci sia il segreto per andare avanti… Sento che con questa verrà, per grazia di Dio, tutto di conseguenza: i passi da fare, il saper sempre ricominciare, l’essere Maria nel mondo. Un grazie grandissimo e profondo… per questa vita di cielo che ci viene trasmessa e che non finisce mai di incantarmi” (60).
Chiara non manca di far arrivare a Gianfranco la sua presenza anche attraverso lettere, come in occasione del conferimento di un nuovo incarico che vede Gianfranco impegnato nella direzione di un Centro giovanile: “Chiara dal suo fax ha saputo del nuovo compito che le è stato affidato. Chiara le assicura le sue preghiere perché, anche per l’unità con i religiosi dell’Opera di Maria, possa accendere in molti giovani il fuoco dell’amore a Gesù e prepararli alla sua sequela. Chiara con lei affida alla Madonna il ‘Centro
Semplicità e profondità
Gianfranco mantiene in tutta la sua vita due dimensioni che finiscono per connotarlo, per descriverlo: semplicità e profondità. Era semplice, appariva a prima vista quasi goffo. Col suo motorino che fino all’ultimo soprattutto a Torino è stato il suo mezzo principale di trasporto. Era impacciato in alcune occasioni e col suo fare diretto e scherzoso metteva a proprio agio qualsiasi prossimo. Era profondo. Gianfranco sapeva ascoltare e amare ciascuno in modo concreto. Alcuni religiosi di Torino testimoniano come, fino all’ultimo momento, abbia continuato a telefonare, per salutare ora l’uno ora l’altro. Fino a pochi giorni dall’ultimo ricovero, quello che lo porterà poi alla morte, quando, in un messaggio rimasto nella segreteria telefonica di un religioso, Gianfranco con voce già flebile e stanca chiede notizie e assicura l’unità.
Il convegno, tenuto a Torino in occasione del primo anniversario della sua morte, è stata una raccolta di fatti, di piccoli gesti che sanno di miracoloso. Dopo la partenza di Gianfranco per il paradiso, i religiosi della zona sentono una rinnovata unità e una spinta più forte a portare questo ideale a tutti.
È commovente la testimonianza di Fratel Petti, Provinciale dei Fratelli: “Noi fratelli non ci siamo accorti di fratel Gianfranco… Sì perché Gianfranco parlava più col suo essere, con i gesti concreti di accoglienza e amore vero verso tutti, che con i discorsi. Amore, il suo, che attingeva a piene mani al carisma dell’unità. Un amore sino alla fine. Un amore che spinge all’amore”2.
"Credo nell’unità"
Andiamo ora agli ultimi momenti della sua vita, si tratta di giorni che manifestano il capolavoro che Gianfranco è stato. Era sempre restio a parlare della sua malattia. Anzi non ne parlava mai. A lui interessava vivere ciò che Dio gli chiedeva nel quotidiano, anche quando gli si leggeva la sofferenza in volto.
Nel suo diario leggiamo una sola pagina sulla malattia che lo consumava: “L’altro ieri il referto del tac. Sospensione e paura. Poi il colloquio con gli oncologi.
Gianfranco entra nel reparto degenti del Centro
“Quello che posso dare a Dio è una piccola cosa in confronto allo ‘stragrande’ Amore che ricevo da Lui”.
“Cerco di amare Gesù Abbandonato nelle piccole cose, in tutte quelle difficoltà che si presentano” (e le piccole difficoltà sono non riuscire a parlare, vomito, spossatezza, dipendenza in tutto dalle infermiere, arsura senza poter bere, continua degenza a letto…)”.
“Ci credo all’Amore di Dio. Credo all’unità. Lo faccio subito con te”.
“Cerco di amare, in tutte le occasioni che si offrono, l’infermiera, il fratello che viene a trovarmi, chi mi telefona, in quello che riesco ancora, anche quando non ce
Un focolarino, Mauro Cammozzi, dopo aver fatto visita a Gianfranco, scrive a Chiara: “È sempre nell’Amore e tutti sono conquistati: si avverte attorno il profumo e la semplicità del paradiso. Gli ho portato l’unità costruita con il Centro dell’Opera e tutti i responsabili delle zone del mondo, col desiderio di portargli te. Lui ne è stato felice, come un disco rotto mi ha detto: ‘Chiara…’. Ti saluta con tutto il suo cuore” (101).
Il 24 ottobre 2005 alle ore 13:30 Gianfranco incontra Gesù. Gli amici, i Fratelli e i religiosi presenti stanno recitando il Rosario. Carmine Arice, religioso del Cottolengo, anche lui impegnato con Gianfranco nel cammino dell’unità, ci racconta gli ultimi istanti: “Intanto il respiro si fa più raro. Apre i suoi grandi occhi e mi fissa con uno sguardo pieno di amore: lo sguardo di Gianfranco. Non dimenticherò mai quello sguardo! Gli chiedo se è contento che preghiamo a nome suo un po’ di Rosario, ricordando che nei momenti più imprevedibili e a volte difficili mi diceva: ‘Diciamo un po’ di Ave Maria’. È il suo ultimo sì! Alla fine del secondo mistero del Rosario con fratel Bruno mentre dicevamo: ‘… adesso e nell’ora della nostra morte’, Fratel Gianfranco parte per il cielo. Sono le
Gianfranco è lucido fino alla fine. Gli ultimi giorni sono esemplari. Sempre attento a non essere di peso, più preoccupato del lavoro delle infermiere che della sua salute, fino alla fine testimonia l’Amore. Sono forti le parole scritte a Chiara da Carmine, insieme ad altri amici religiosi, il giorno della morte di Gianfranco: “Essendo egli il punto di riferimento dei religiosi della nostra zona, ieri gli abbiamo chiesto: ‘Cosa vuoi dire ai religiosi?’. La sua risposta è stata: ‘Io credo nell’unità’. Questo ci sembra essere anche il riassunto della sua vita” (110).
NOTE