Gian Piero Alloisio tra Resistenza e Chiara Luce
Resistenza Pop. Quasi un ossimoro si potrebbe pensare. E invece no; non per Gian Piero Alloisio, classe 1956, collaboratore, amico intimo e autore per gente del calibro di Giorgio Gaber e Francesco Guccini.
Uno che i dischi li fa col contagocce, visto che in ben in ben 37 anni di carriera questo è appena il suo quarto album da solista (più altrettanti realizzati con l’Assemblea Musicale Teatrale). Non solo: Alloisio è uno che i dischi li fa come si facevano una volta, vale a dire non per raccattar concerti, ma al contrario, partorendoli dai concerti e dagli spettacoli che porta in giro da una vita: nelle scuole e nei teatri, nelle piazze di provincia più che nei grandi templi del pop.
“E così è nato anche questo Resistenza Pop – mi dice – un disco nato dal basso, frutto di una serie di spettacoli che ho portato in giro in questi ultimi anni nelle scuole e in certe periferie di cui molto si parla, ma che pochi conoscono e frequentano davvero”.
Canzoni antiche e inediti autografi ad assemblare un unicum pieno di idee, di sonorità diverse – spaziando dal folk acustico fin quasi alla techno – pieno di suggestioni letterarie dove l’attenzione alla parola e ai dettagli narrativi restano sempre un tratto fondante del suo stile. Del resto il suo curriculum è quello di un cantautore classico, quello di una generazione di menestrelli e cantastorie che oggi è dispersa e talvolta annichilita dai ruggiti degli hip-hoppers e dagli rapper d’ultima generazione.
Gian Piero, come quasi tutti gli artigiani della musica, è uno che ama spiazzare e che sfugge i cliché come la peste. Così ecco la splendida e quasi sconosciuta “Dalle belle città” scritta nel 1944, probabilmente l’unica canzone realmente “d’autore” della grande epopea partigiana; ecco l’esilarante “Eia Eia Trallallà”, un ritratto al vetriolo su certi rigurgiti neofascisti e razzisti che animano questo presente, cui fa da contraltare “Jeans e Chador”, un titolo che è già tutto un programma per un testo composto su un’inedita melodia di Bindi.
E poi, tra una cover gucciniana e una di Gaber, un’intensa rilettura di “Bella ciao” e una scanzonata “Tanto pe’ cantà”, ecco sbucare la splendida “Chiara Luce”, forse la canzone più bella e sincera delle tante ispirate dalla storia della beata Chiara Luce Badano: “L’ho scritta tempo fa, impressionato dalle foto di quel sorriso luminoso che aveva sempre in volto, anche quando il tumore l’aveva ormai ridotta a pelle ossa come una reduce di Auschwitz. Sulle prime non avevo pensato di includerla in questo disco, ma un giorno mi è letteralmente caduto sulla scrivania il primo provino che avevo registrato solo per farla sentire ai genitori: che ti devo dire? Mi è sembrato un segno… Così son tornato in studio e l’ho incisa così, semplicemente com’era nata. Del resto anche la sua è una storia di resistenza e di coraggio giovanile: Chiara si è giocata tutto per affrontare il tumore che l’aveva colpita a diciott’anni, e ha scelto di vivere fino alle estreme conseguenze e in modo radicale la cultura e gli ideali cristiani con cui era cresciuta. È stato il suo modo di sconfiggere la morte”.