Giacomo, un’esperienza “Doc”
Di buon mattino, da tanti anni ormai, Giacomo Mignani si reca alla Cooperativa Loppiano Prima di Tracolle “a dare una mano “: c’è da imbottigliare vino e olio, da lavare i contenitori, da ordinare i cartoni delle spedizioni e spesso anche da accogliere i visitatori. Lo si sa, a Loppiano di gente ne arriva tanta, tutti i giorni, da tutte le parti e con esperienze diverse. Per niente curvato dall’età – a dicembre compirà i novant’anni – col viso sbarbato e colorito della gente delle prealpi orobiche da cui proviene, dopo aver presentato il vino e l’olio, attacca con la sua storia: forse già raccontata centinaia di volte, eppure sempre nuova. I coloriti inserti dialettali, irrimediabilmente bergamaschi, che costellano il racconto, catturano ogni volta la simpatia dei presenti e fanno centro sul crocchio che gli si forma attorno. Ascoltiamolo anche noi. “Sono qui da 26 anni, cioè da quando, ormai in pensione, con Dina, mia moglie – che ora riposa nel camposanto di San Vito, qui vicino – abbiamo deciso di trasferirci a Loppiano. Anche adesso continuiamo a fare le cose assieme: lei da lassù ed io da quaggiù”. Erano una coppia molto affiatata e conosciuta. Li si vedeva spesso andare e venire, stipati sul seggiolino della piccola “Ape” dal motorino scoppiettante, intenti ai mille servizi che la Mariapoli richiedeva. Costantemente allegri e disponibili-. Eppure non era stato sempre così. Racconta: “Mi sono sposato non troppo giovane, a 34 anni. Dopo poco tempo, io e mia moglie camminavamo già su due binari distinti, come due estranei. Ci divideva una profonda incomprensione che maturava sempre più nell’indifferenza reciproca. Avevamo avuto un figlio, e forse solo a causa sua non ci siamo separati, ma vivevamo come se non esistessimo l’uno per l’altra: questo per ben 18 anni”. Continua Giacomo: “Ogni giorno, dopo il lavoro – ero meccanico – avevo un solo grande interesse: il mio cane, col quale parlavo, passeggiavo, andavo a caccia. Naturalmente Dina non lo sopportava e non voleva vederselo attorno. In una simile situazione, anche quel pizzico di fede tradizionale che avevo si era sempre più affievolita e non andavo neanche più a messa la domenica: forse, qualche volta mi ci recavo a Natale, ma poi basta. Così anche per Dina. Un giorno, eravamo nel ’62, mia moglie, abbonata da tempo a Città nuova, che però raramente leggeva, venne invitata da alcuni conoscenti a un incontro estivo dei Focolari, a Merano. Ho saputo più tardi che lei non aveva quasi il coraggio di dirmelo – ero molto scorbutico nei suoi confronti -, ma appena me l’ha fatto presente ne sono stato felicissimo, non perché mi importasse molto cosa facesse, dove andasse e che cosa fosse una Mariapoli, ma perché così sarebbe stata via otto giorni. Le ho così detto, malamente, che andasse pure dove credeva” e lei mi ha risposto sullo stesso tono, sbattendomi la porta in faccia”. Quando però ritornò da quella Mariapoli, Giacomo la vide diversa, quasi fosse un’altra persona: “Era più gentile, rispettosa. Dovevo riconoscere che era cambiata, e in meglio. Dati i precedenti, la cosa era evidente; ma, con la consueta indifferenza, ho quasi subito accantonato l’impressione positiva ricevuta e, come tutti i lunedì, mi sono preparato per andare al lavoro. E cosa ho trovato? I pantaloni stirati, la camicia pulita e le scarpe lucidate! Inaudito: non era mai successo!”. Passò ancora qualche giorno e la vide addirittura che preparava da mangiare al cane: “Non sapevo più cosa pensare! E da agosto a dicembre le cose continuarono sempre allo stesso livello: mia moglie era più buona, premurosa, diversa. Dopo qualche tempo, mi chiede di andare a un altro incontro, a Roma questa volta. Io, che in quei mesi avevo osservato tutto senza fiatare, pensai: “Che vada pure; se quel primo convegno l’ha fatta diventare più buona adesso mi tornerà come una santa e il guadagno sarà tutto mio”. Giacomo si asciuga il sudore e commenta: “A questo punto ero arrivato. Prima di partire Dina mi disse con gentilezza: “Senti, Giacomo, fra qualche giorno, a Milano, c’è un incontro sul tipo di quello che si fa a Roma: perché non vai a conoscere anche tu queste persone?”. “Tu non ci pensare nemmeno, io farò quello che mi sento di fare”, le ho risposto con stizza; non ero ancora cambiato e volevo solo stare in pace, senza nessuno attorno. E lei: “Caso mai” il pullman che va a Milano con i partecipanti si ferma proprio qui davanti””. Dina parte per Roma. Giacomo, pensa e ripensa, si sentiva profondamente incuriosito da quelle persone. “Così la domenica – continua -, andai verso il pullman. Stavo per salire, vedevo gente allegra, un giovane che strimpellava una chitarra, sentivo anche delle risate e subito mi prese una repulsione istintiva. In quei tempi tenevo sempre il muso, così mi dissi: “No, no, non fa per me”. Ma, quando stavo per ridiscendere il gradino sul quale ero salito, uno di loro mi prese per il braccio e mi tirò su. Fu un attimo, e il pullman ripartì! “Accidenti – pensai -, sono fritto”. Costretto dalle circostanze a stare al gioco, fino a Milano me ne stetti zit- to, un po’ appartato, senza dare troppa confidenza a nessuno. Si arrivò, si entrò in un salone affollato e poco dopo incominciarono i discorsi dal palco. Un giovane parlava di “Dio amore”, e mi venne subito da reagire. “Ma sta’ zitto – pensai – il mio parroco, quelle poche volte che l’ho ascoltato, dice sempre che Dio è soprattutto occupato a punire i peccatori, altro che amore e amore!”. “Mentre stavo per uscire – continua -, salì sul palco un’altra persona, un sacerdote, che incominciò a raccontare l’esperienza della sua malattia, insistendo sempre sul fatto dell’amore di Dio per tutti gli uomini e di come noi dobbiamo amarci a vicenda sull’esempio di Gesù in croce. “Ci risiamo”, mi dissi. Eppure, nonostante tutto, qualcosa mi bloccava, incominciava a scalfirmi, non mi permetteva di scappare: “Sarà vero che Dio non è solo un giudice severo che punisce tutti? Sarà vero che se si sbaglia nella vita, può anche darsi che lui sia contento di perdonarci e di aiutarci a ricominciare una vita nuova?”. Qualcosa di più forte mi tratteneva, e continuai ad ascoltare. Erano tutte parole nuove, quasi mai sentite, certamente mai capite. E piano piano qualcosa si scioglieva dentro di me”. Con un’evidenza scioccante, Giacomo dovette ammettere che da tempo non agiva con amore verso sua moglie, così come era vero che il suo comportamento, da alcuni mesi, era sulla stessa lunghezza d’onda di quanto si diceva in quella sala, e che incominciavano ad impressionarlo per la loro novità e la loro bellezza. Adesso forse toccava a lui fare un salto? “Mi sentivo agitato – continua -: ho visto in un attimo tutti i miei sbagli , tutta la durezza del mio comportamento verso Dina e per la prima volta dopo tanti anni non ho più pensato ai suoi difetti ma ai miei. Era una cosa talmente nuova che mi sconvolgeva. “E” se” tentassi di cambiare?”, ho pensato. “Forse non sarebbe poi così male”. Inaspettatamente ho sentito il desiderio di rivederla per chiederle scusa e ricominciare tutto daccapo. Contemporaneamente una gioia nuova e sottile, come una nuova speranza, si facevano strada sempre più nel mio animo”. Quella notte Giacomo non dormì, finché la decisione non fu presa. “Al mattino sono andato al lavoro contando le ore che mi separavano dal ritorno di mia moglie da Roma: un’eternità. Verso mezzogiorno, con la bicicletta, ho fatto una volata a casa, ho aperto la porta. Ma, prima di me, l’ha aperta Dina e, dopo 18 anni, ci siamo trovati finalmente una tra le braccia dell’altro”. Iniziò così un’era nuova per i Mignani , finché nel ’77, di comune accordo, decisero di trasferirsi a Loppiano, nella cittadella dei Focolari che si stava sviluppando. Col passare degli anni e il sopravvenire dei momenti di difficoltà anche per la salute, l’entusiasmo e la determinazione degli inizi di questa svolta data alla loro vita non calarono, anzi. Giacomo ricorda come spesso, da allora, si siano ripetuti a vicenda: “Adesso sì che ci vogliamo bene “. Un bene concreto, che ha sostenuto Dina nella sua malattia finale, associata ad una quasi completa cecità, durata quattro anni. Giacomo ora custodisce un sacchetto colmo di lettere bellissime che arrivano un po’ da tutte le parti del mondo: ringraziamenti, testimonianze, confidenze di cambiamenti, di ripensamenti, di revisioni di vita matrimoniale, perfino di conversioni. Come quella di un ateo, portato in visita a Loppiano da un amico preoccupato che non si toccassero argomenti religiosi, ma che dopo l’esperienza raccontata da Giacomo scoppiò a piangere. O quella di un gruppo di ragazzine di 8 o 9 anni, della repubblica ceca, che vogliono sapere tutti i particolari della sua vita di oggi, qui a Loppiano “per imparare come si fa ad amare sempre, subito e con gioia”. Logicamente la sua esperienza lascia il segno particolarmente là dove ci sono problemi matrimoniali; così è stato di una coppia di giovani sposi in perenne scontro esistenziale, prossimi alla separazione. Arrivati in visita a Loppiano, hanno ascoltato Giacomo. “Se ce l’ha fatta lui, chissà”, si sono detti. Dopo un po’ arrivò una lettera: “Grazie, Giacomo, la tua esperienza ci ha fatto più di una visita dallo psicologo. Abbiamo deciso di comune accordo di tentare la tua stessa esperienza”. Si impegnano, con tutta la loro buona volontà, e una seconda lettera lo rassicurò: ce l’avevano fatta.