Giacomo Balla – Il mito della velocità
Un rivoluzionario inquieto. Che, di suo, ha già la voglia di correre verso un dinamismo senza freno, quando ancora non conosce il Movimento futurista di Marinetti e Boccioni, di cui poi diventa la voce più riconosciuta. È il moto perpetuo che lo attira – come fosse un Paganini della pittura -, fin dai primi anni del Novecento, quando ormai la luce elettrica, l’automobile, il telefono, fanno vivere ai giovani artisti uno stato di ebbrezza unica. Il vecchio mondo millenario del buio e del giorno, della comunicazione lenta, è definitivamente tramontato. Una ventata di ottimismo scuote le nuove generazioni. L’arte si trasforma. Il Ponte della velocità (1918, Roma, Galleria d’arte moderna) è un elettrico guizzare di colori dentro forme geometriche. Balla vuole sintetizzare la corsa dei piroscafi sotto le arcate del ponte, ed usa pennel- late nervose, tinte dissonanti a dare l’idea che tutto si muove. Anche nella natura. Il Fiore futurista (circa 1920, Collezione privata) seziona i petali come fiamme dentro un vaso ridotto ad uno stelo geometrico: i colori accesi lo rendono l’apparizione dell’idea del fiore, più che una sua descrizione naturalistica. Ogni riferimento alla realtà è superato e dimenticato. Naturale perciò che quando Balla affronta temi scottanti dell’epoca, come la Dimostrazione interventista del 1915 (Roma, Galleria d’arte moderna) sorvoli sul descrivere la folla – non gli interessa -, e presenti il sentimento che guida la manifestazione: un’onda bianca e scura a volute che si espandono e si rinchiudono. Balla dipinge il pensiero della gente, un insieme di voci che si allargano nella piazza – espressa dalle volute – come un grido che si fa luce (il colore bianco) e ricaccia nel buio il grigio dell’opposizione. Arte politica, manifesto nazionalista? Certamente. Balla, come tanti artisti del suo tempo – poeti come D’Annunzio, musicisti come Mascagni – si lascia prendere dal patriottismo post-risorgimentale che vede nella guerra uno strumento di redenzione della nuova Italia. Tele come Le mani del popolo italiano (1927, Collezione privata) – due mani, una verde e una rossa, sotto la stella bianca della libertà – ne sono un esempio rivelatore. Ma non è questo, forse, il Balla che rimane, l’artista che oggi ancora può affascinare. Muovendosi per la rassegna a Palazzo Reale, ci si incontra con l’altro pittore, quello delle emozioni e delle sensazioni sincere, che derivano dal cuore più che dalla mente (anche se una razionalità nascosta ne guida il flusso), superano poeticamente il loro tempo. La fluidità di primavera (1917, Lugano, Collezione privata) raccoglie ciò che si prova quando la primavera rinasce. La vegetazione sale nel paesaggio come da una fonte misteriosa e colora di un giallo dorato le forme appena percettibili degli alberi, curvando la linea per esprimere il passaggio del vento. Si sente veramente lo scorrere di una brezza, osservando la tela ad olio, piena di luce calda, e non si avverte il bisogno che il pittore si fermi a descrivere, perfettamente, la natura: la stesura ad olio lucente comunica d’immediato il sorgere della vita. Così nelle Forze di un paesaggio estivo (1917, Lugano), Balla insegue il vortice rigenerativo della stagione nel suo splendore, accostando rossi gialli azzurri impetuosi come lampi che guizzano l’uno dall’altro e sull’altro. È la visione di una energia vitale indomabile, che esplode in una gioia coloristica che è quella stessa della natura. È a questo punto che l’anima poetica di Balla, il tono lirico, viene alla luce. Il paesaggio + volo di rondini (1919, Collezione privata) ha come tema la vita del paesaggio stesso. Nel verde chiaro con cui il pittore rappresenta la veduta naturalistica, il volo delle rondini, in una striscia rosso-viola sottile, si insinua in onde circolari verso un indistinto bianco- rosa sul fondo. È un volo che coinvolge l’universo, più che il mondo circostante. Balla non è mai riduttivo, infatti, sempre cerca altri infiniti: quello in cui vive gli sembra troppo piccolo. È quest’impeto ascendente a fare la poesia dinamica della tela, a darle il tono di un respiro che sa di metafisico. E che è forse ciò che origina la sua passione per gli spazi dove una energia primordiale muove tutto e tutto richiama a sé. Nella serie dei Vortici e movimenti celesti, Balla sembra non essere su questa terra, o per lo meno, pare viaggiare, come un astronauta, per gli spazi siderali. Forme ondulate in perpetuo movimento nascono e muoiono dentro e fuori di loro stesse, rinnovandosi ciclicamente. Tinte bellissime – viola, blu marroni, rossi – di qualità astratta esprimono lo stupore di un artista per un infinito che non ha confini. E che non è solo materia. Ma forme spirituali. Sarà arrivato, Balla, ad intuire il divino?