Gettare ponti su acque turbolente

Dopo il commento passionale e appassionato di un “indipendentista” catalano, ecco quello più moderato di un “unionista”. Tra dialogo e mutua comprensione, la strada aperta è complessa e irta di ostacoli. Ma non c’è alternativa

Confesso che non capisco, in tutta la sua portata, il fenomeno nazionalista della Catalogna. Ho però tanti amici catalani, indipendentisti e non indipendentisti, che in questi giorni patiscono come mai prima per quel che sta succedendo. E ciò mi spezza il cuore. Ogni giorno faccio una telefonata a uno o l’altro per incoraggiarli. Proprio stamane ho parlato con Josep e mi ha detto che, a causa alla tensione accumulata, per la prima volta da anni gli son venute le lacrime agli occhi.

Mi raccontava Mercé, una di questi miei amici, che già da piccola nel suo ambiente le avevano inculcato l’odio verso la bandiera spagnola. E non mi è venuto da spaventarmi. Anzi, ho capito che la radice di tanti sentimenti, anche il catalanismo, sta nell’educazione ricevuta.

Non è ora il caso di analizzare le origini storiche del sentirsi diversi nei catalani, e poi non sono uno storico. Ma quasi ci potremmo tornare al secolo VIII, quando l’Impero carolingio stabilì la Marca di Spagna per fermare l’avanzata dei musulmani. Poi è vero che lungo la storia i catalani hanno manifestato in diverse occasioni il desiderio d’indipendenza. Forse la volta in cui vi sono stati più vicini fu sotto il regno di Filippo II, all’epoca della famosa “guerra dels segadors” (1640-1652). Ma tornando ai tempi moderni, volendo indagare nei diari delle sessioni de Las Cortes (parlamento spagnolo) durante la Seconda Repubblica (anni 30 del secolo scorso), molto probabilmente troveremmo interventi e proclami dei deputati catalani molto simili a quelli che oggi fanno i deputati dei partiti indipendentisti.

Ma, insisto, non capisco il nazionalismo. Mi sembra qualcosa di altri tempi, racconti della letteratura romantica della storia. Proprio per ciò mi fa male una sofferenza che a mio avviso è gratuita, perché coltivata volutamente (e mi dispiace se ferisco qualcuno). E mi dispiace ancora di più pensare che ci debbano essere delle formule di convivenza politica capaci di contenere le minoranze, alle quali non siamo riusciti ad arrivare, legati come siamo alla struttura dello Stato attuale.

Un amico di Girona, la provincia probabilmente più indipendentista della Catalogna, mi scrive: «Sono strani questi giorni, provo sentimenti di tristezza, impotenza, preoccupazione. Allo stesso tempo, provo sentimenti di chiarezza in quel che devo fare (…), soprattutto fare lo sforzo in ogni momento di non giudicare nessuno». Mi sembra coraggioso!

Peccato che i pregiudizi emergano con tanta facilità in questi momenti. Così i catalani, portandosi dietro la fama di antipatici, nel parere di tanti si sono costruiti con le loro mani la sofferenza che stanno patendo. È crudele questo pensiero, ma circola molto nelle reti sociali. Meno male che c’è chi non dà retta alle barzellette macabre e non le fa girare. Così mi ha detto un’amica di Toledo: «Ho deciso di non diffondere le catene di foto, barzellette e notizie dubbiose che circolano per le reti e non costruiscono nulla». Brava lei!

Per essere coerente, pur non essendo d’accordo con l’indipendentismo, voglio assecondare la campagna dei Focolari (#SoyDiálogo), allo scopo di «gettare ponti nelle attuali circostanze».

 

 

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