Getsemani

Nel luogo sacro dove, il Giovedì Santo, Gesù visse la sua agonia. Accompagnati da un testo sconvolgente di Charles Péguy
Un ulivo del Getsemani

Sul Monte degli Ulivi, che la valle del Cedron separa da Gerusalemme, in una grotta con i resti di una cisterna e di un pressoio per le olive risalenti all’epoca di Cristo, la tradizione ha identificato il luogo dove Gesù si recava abitualmente con i suoi discepoli e dove venne arrestato la notte del Giovedì Santo. Nel IV secolo questa cavità naturale venne trasformata in una chiesetta rupestre, successivamente decorata con affreschi dai crociati, e la cisterna usata come sepolcro. Nel periodo medievale, tramite un’apertura, la grotta venne messa in comunicazione con l’adiacente tomba da sempre attribuita alla Madonna: da millenni, del resto, il Monte degli Ulivi era adibito a luogo di sepoltura.

 

Oggi, dopo il Calvario, è il monte più sacro e più importante della storia della salvezza. Qui, lontano dalle beghe e dai  tumulti della Città Santa, Gesù era solito ritirarsi in intimità con i dodici e impartire loro i suoi insegnamenti, primo fra tutti la preghiera del Padre Nostro. Qui, prima di entrare trionfalmente in Gerusalemme la Domenica delle Palme, egli versò lacrime sulla città che non aveva saputo riconoscere l’ora della sua salvezza. E ancora da questa altura il Risorto ascese al Cielo dopo aver dato le ultime istruzioni ai discepoli. Tutti luoghi ora contrassegnati da altrettanti santuari fondati in epoche diverse, meta di pellegrinaggio dal mondo intero.

 

Ma torniamo alla grotta, detta del Getsemani o del Tradimento, e al vicino Giardino degli Ulivi, oggi possesso – dopo molte travagliate vicende – dei francescani della Custodia di Terra Santa. Getsemani… ma cosa vuol dire questa parola aramaica? Letteralmente significa “frantoio”, “pressoio per l’olio”: termine che, al di là dell’uso agricolo significato, ben s’adatta alla angosciosa lotta interiore qui sofferta da Cristo per aderire alla volontà del Padre, prima di consegnarsi ai soldati e alla imminente passione.

 

La tradizione vuole che 8 ulivi presenti nel piccolo giardino accanto alla basilica dell’Agonia abbiano fatto da scenario a quella accorata supplica accompagnata da sudore di sangue: ciò che però verrebbe smentito dalle notizie storiche riferite da Giuseppe Flavio a proposito dei romani, che nel 70 d. C. fecero tagliare tutti gli alberi negli immediati dintorni di Gerusalemme per avere campo libero nel loro assedio alla città. Inoltre studi recenti condotti sulla parte aerea degli esemplari più antichi, quelli sopravvissuti alla distruzione della primitiva chiesa e agli anni di abbandono, li datano all’epoca dei crociati. Il che non esclude la loro discendenza dalle piante esistenti al tempo di Gesù, grazie alla capacità – attestata già da Plinio il Vecchio – che ha l’olivo di rinascere sempre dal medesimo ceppo. Ma la scoperta più sorprendente, emersa dalle ricerche, è la comune origine degli 8 ulivi da una stessa pianta madre, forse perché ritenuta testimone della notte di agonia di Gesù: un’origine attestata dal possedere lo stesso Dna.

 

Certo che, aggirandosi fra quei tronchi millenari e contorti come per intimo tormento, è difficile sottrarsi alla suggestione di un luogo che sembra predisposto alla preghiera.

 

Il Getsemani ha ispirato anche uno dei testi più belli di Charles Péguy, il brillante saggista, drammaturgo, poeta, critico e scrittore francese, già fervente socialista e, dopo la conversione al cristianesimo, ancora più fervente cristiano, che, misconosciuto in vita, oggi appare voce profetica del cattolicesimo più aperto e illuminato: s’intitola semplicemente Getsemani ed è considerato uno dei capolavori della letteratura cristiana sotto il profilo teologico e mistico. Pubblicato solo dopo la morte di Péguy (1915), il testo è stato ultimamente riedito da Castelvecchi con l’autorevole presentazione di Jean Bastaire, il filosofo, scrittore e difensore del creato che ne ha raccolto l’eredità.

Contro lo spiritualismo disincarnato del suo tempo, Péguy offre una lettura “carnale”, e per questo sconvolgente, dell’agonia di Gesù nel Giardino degli Ulivi. Tutto è pronto dall’eternità per l’ultimo atto in terra del Figlio di Dio che dovrà fruttare la redenzione dell’umanità; uomini e perfino cose (gli oggetti della passione, come la lancia che trafiggerà il suo costato o la corona di spine) attendono, inconsapevoli strumenti, il compiersi del suo sacrificio d’amore, ma nell’approssimarsi di esso Gesù esita un istante. Tutto è pronto. Solo Dio non lo è. Essendo egli anche vero uomo, come tale tocca anche a lui condividere la terrificante esperienza di ogni creatura umana di fronte alla morte, e ad una morte violenta. «Padre, se è possibile, che passi da me questo calice…».

 

Péguy elaborò questo scritto mentre lui stesso era sotto prova: da mesi, infatti, soffriva per una grave epatite e, causa la depressione, aveva pensato addirittura al suicidio. A questo si aggiungevano i problemi finanziari relativi ai Cahiers de la Quinzaine da lui fondati per dare un colpo d’ala intellettuale alla società, il degrado della politica di quegli anni, il proprio isolamento nella Chiesa dovuto all’opposizione della moglie al matrimonio religioso e al battesimo dei figli, come pure l’attrazione piena di scrupoli verso un’altra giovane donna. Ce n’era abbastanza per “entrare” con Cristo nel Getsemani, come lui oppresso da tristezza «fino alla morte»!

 

Nella sua contemplazione di questa pagina del Vangelo Péguy non esita a scardinare certe interpretazioni edulcorate del sacro testo, per restituire le parole di Cristo alla loro cruda verità. Per esempio, quando ai discepoli oppressi dal sonno e da essi abbandonato, Gesù dichiara: «Lo spirito è pronto, ma la carne è debole», non appare più il maestro autorevole che ammonisce o dà agli scolari un insegnamento ex cathedra, no, è una reale confidenza che lui fa: è proprio sua, in quell’ora, l’esperienza che la carne è debole.

 

Nel dramma che si consuma, non più è il Padre nostro, ma il Padre mio quello che risuona nel silenzio del Getsemani. È il Figlio di Dio, immerso nella solitudine più amara, che invoca il soccorso divino.

 

Con l’ispirazione e l’acutezza di un Padre della Chiesa, Péguy mette a confronto il “Fiat” del Genesi, quando Dio pronuncia la sua parola creatrice, con il “Fiat” di Gesù nel Giardino degli Ulivi: accettazione della volontà del Padre che dà origine alla nuova creazione rappresentata dall’umanità redenta che trascina con sé tutto il cosmo. Per tutto questo l’autore considera centrale la prova dell’agonia di Gesù: da quel “sì” consegue tutto il cumulo di sofferenze della passione. Come commenta Jean Bastaire: «Il significato del Calvario va cercato nel Getsemani».

 

Un testo martellante, grido di un’anima in un crescendo di tenebre e lampi di luce. Sentir recitare questo monologo all’ombra degli 8 ulivi sarebbe un’esperienza unica, da brivido.

 

Péguy morì soldato il 5 settembre 1914, il primo giorno della famosa battaglia della Marna. Non sappiamo quale Getsemani intimo abbia vissuto nell’imminenza di quel macello. Una pallottola misericordiosa gli risparmiò l’ultima e maggiore prova: uccidere e veder scorrere sangue fraterno.

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