Gesù lavoratore
Mi ha sempre fatto un’enorme impressione il constatare come Gesù abbia trascorso il novanta percento della sua breve vita vivendo quasi esclusivamente, anche se pienamente, la sua umanità facendo il carpentiere (così era noto a tutti: come “il figlio del falegname”), e solo negli ultimi tre anni sia uscito a vita pubblica per portare a compimento la sua missione salvifica, con l’annuncio del Regno, i segni, la sua passione, l’abbandono, la morte e la resurrezione.
Mi sono chiesto: forse “ha perso tempo” Gesù lavorando fino a 30 anni come falegname? Con tante cose più importanti che aveva da fare, una missione da compiere (ricordiamo il suo amorevole rimprovero ai genitori in apprensione per averlo perso: «perché mi cercavate, non sapevate che debbo occuparmi delle cose del Padre mio?» ),…si metteva a costruire madie e tavoli!
No, Gesù non ha perso tempo. Anche quegli anni, trascorsi nel nascondimento e nell’anonimato pubblico, facevano parte del disegno di Dio; anche quegli anni erano funzionali al piano di salvezza dell’umanità; tutto, tutto, nella vita di Gesù ha avuto lo stesso valore.
Mi viene in mente un paradosso (spero non sia una eresia): quando Gesù ha costruito con la sega, la pialla, il martello ed i chiodi, una panca (sicuramente comoda ed ergonomica) per la madre Maria, quel lavoro – poiché era un compiere la volontà di Dio in quel momento – agli occhi del Padre avrà avuto lo stesso valore (proprio lo stesso!) della guarigione della suocera di Pietro, della resurrezione di Lazzaro, della moltiplicazione dei pani,…e anche dell’agonia nell’orto degli ulivi e persino del grido di abbandono sulla croce. Sì, perché era sempre lo stesso Gesù che viveva tutte queste cose; era la sua stessa piena umanità che si esprimeva in quei gesti, in quegli atti, in quei segni.
Gesù ha reso prezioso agli occhi di Dio il lavoro dell’uomo, lo ha reso sacro; ha riabilitato ciò che era stato segno di condanna per la trasgressione di Adamo nell’Eden («d’ora in avanti lavorerai con sudore»).
Buona festa del lavoro a tutti: a chi ce l’ha, ma soprattutto a chi l’ha dolorosamente perduto o ancora disperatamente lo cerca.