Gesù e il suo testamento
II capitolo 17 di Giovanni ci riporta la più lunga preghiera di Gesù al Padre, tramandataci dai vangeli. Essa è al termine dei famosi discorsi di addio che leggiamo in Giovanni, dal capitolo 13 al capitolo 18, con il quale si apre la narrazione della Passione di Gesù. Il discorso degli addii è intramezzato dalla lavanda dei piedi, dall’annuncio del tradimento di Giuda, dal comandamento nuovo: Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri (13, 34), dall’annuncio del Paraclito, il Consolatore. Mentre prima si rivolge ai discepoli, nel capitolo 17, in maniera sublime, Gesù si rivolge al Padre. Questa preghiera è stata chiamata anche sacerdotale, poiché san Cirillo Alessandrino, e poi l’esegeta luterano David Kochhafe, morto nel 1600, hanno voluto scorgervi una preghiera immolatoria. San Cirillo Alessandrino scrive: Intercede come uomo quale riconciliatore di Dio e degli uomini, è il nostro pontefice grande, regalmente tutto santo, il quale offrendo se stesso per noi, colle sue suppliche mitiga l’animo del Padre. Egli infatti è l’ostia e il sacerdote nello stesso tempo, egli il mediatore, egli il sacrificio immacolato. In realtà, nel capitolo 17, un riferimento esplicito alla missione sacerdotale di Gesù l’abbiamo solo al v. 19: Per loro io consacro me stesso affinché anch’essi siano consacrati nella verità. È l’unità, però, che costituisce l’oggetto prevalente della preghiera nella sua seconda e terza parte, e seppure l’unità non si possa pensare e realizzare al di fuori del mistero della croce, sembra più giusto, con molti studiosi moderni, chiamare il capitolo 17 preghiera dell’unità. È un’unità che nasce però dall’amore e dalla sofferenza e, in questo senso, trova ancora giustificazione che si possa parlare, con certi studiosi, di preghiera sacerdotale. Strutturalmente il capitolo 17 è diviso in tre parti: a) Nei vv. 1-5 Gesù prega per la propria glorificazione: Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te; E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse. b) Nei vv. 11-19 Gesù prega per i discepoli che dopo il suo ritorno al Padre rimarranno in mezzo alle difficoltà del mondo: Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te. Padre santo, custodisci nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come noi. Per loro io consacro me stesso, perché siano anch’essi consacrati nella verità. e) Nei vv. 20-26 l’orizzonte della preghiera si allarga a tutto il mondo e a tutti i tempi: Gesù prega perché siamo nell’unità, perché, come il Padre e il Figlio, siamo una cosa sola: Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa; E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi ed io in loro. Gesù prega per la sua glorificazione Così parlò Gesù. Quindi, alzati gli occhi al cielo, disse: Padre, è giunta l’ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te. Quindi, alzati gli occhi al cielo. È un gesto che troviamo anche in occasione della preghiera per la risurrezione di Lazzaro: Gesù allora alzò gli occhi e disse: Padre ti ringrazio che mi hai ascoltato (Gv 11,41). Questo gesto, questo ascensus verso Dio, rimase indelebilmente impresso nell’animo del discepolo prediletto. È un gesto che è al tempo stesso una preghiera; sembra che ripeta l’orazione domenicale, Padre nostro che sei nei cieli (Mt 6,9). Padre. E una dolce invocazione che incontriamo sei volte nel capitolo 17. Sicuramente Gesù avrà impiegato la parola aramaica Abbà, la stessa della quale si è servito nel Getsemani (cf. Me 14, 36): Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu. Questa parola ci viene riportata da san Paolo due volte nelle sue lettere, in Rm 8, 15 e in Gal 4, 6 e ci attesta così l’uso di essa presso i primi cristiani. Significava papà, ed è usata solamente da Gesù; i giudei, nelle loro preghiere, adoperavano solenni parole ebraiche, non aramaiche. È giunta l’ora. La parola ora in Giovanni è stata oggetto di studi profondi. La incontriamo con un significato messianico sin dall’inizio del vangelo, al capitolo 2, v. 4; l’evangelista poi ci dice come due volte i nemici di Gesù avevano tentato di ucciderlo, ma egli si era sottratto alla cattura, perché non era ancora giunta la sua ora (Gv 7, 30 e 8,20). All’inizio del discorso degli addii (cf. Gv 13, 1) è scritto: Sapendo che era giunta la sua ora di passare da que- sto mondo al Padre; è evidente che l’ ora di Gesù è l’ora della sua morte, cui seguirà subito la risurrezione. Questa ora è sempre presente nel vangelo, ma nel brano che stiamo seguendo c’è la forza dell’imminenza. Glorifica il Figlio tuo. Si indica soprattutto la risurrezione gloriosa. Sarà il ripristino della gloria primitiva presso il Padre (poiché il Figlio di Dio si è umiliato fino a prendere la forma di servo e a vivere tra noi come un semplice mortale), e l’espansione nella carne della gloria della Persona divina del Figlio. San Tommaso distingue tre fasi nella glorificazione del Cristo: 1) la passione stessa ha glorificato Gesù mediante prodigi, quali l’oscuramento del sole, lo spezzarsi del velo nel Tempio, lo spalancarsi dei sepolcri. La passione dimostra che Gesù è Figlio di Dio. Ancora, la passione accettata con amore e realizzata con suprema libertà, ha dimostrato che solo il Figlio di Dio poteva soffrire e morire in quel modo (Me 15, 39): Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!. 2) La seconda fase è la glorificazione del corpo di Gesù, con la risurrezione. Gesù già possedeva la gloria nell’intimo della sua anima, il suo corpo però doveva essere ancora glorificato. 3) Infine san Tommaso scorge la gloria di Gesù nella predicazione degli apostoli a tutte le nazioni. Perché il Figlio glorifichi te. La glorificazione del Figlio è per la glorificazione del Padre. Essa, in genere, significa la conoscenza di Dio e la diffusione di questa conoscenza fra gli uomini. Questa glorificazione avverrà per mezzo della risurrezione. Dice sant’Agostino: Risuscitami affinché la conoscenza di te si estenda in tutto il mondo per mio mezzo. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano. Questo versetto è strettamente collegato con la fine dei precedente, perché il Figlio glorifichi te, e indica la vittoria che Gesù avrà sulla morte. Questa vittoria gli darà un potere pieno sopra ogni carne, come dice il testo letteralmente. Del potere di Cristo si parla più volte nel Nuovo Testamento: Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare (Mt 11, 27; cf. Lc 10, 22); E Gesù, avvicinatosi, disse loro: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra (Mt 28, 18); Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa (Gv 3, 35); …e hai posto ogni cosa sotto i suoi piedi. (Eb 2, 8); …e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi credenti secondo l’efficacia della sua forza che egli manifestò in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla sua destra nei cicli, al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare non solo nel secolo presente ma anche in quello futuro. Tutto infatti ha sottomesso ai suoi piedi e lo ha costituito su tutte le cose a capo della chiesa, la quale è il suo corpo, la pienezza di colui che si realizza interamente in tutte le cose (Ef, 1, 19-23). Secondo la dottrina, in modo particolare di Paolo, il potere di Gesù non è né comodo né facile, come acquisito placidamente dall’eredità paterna; questo potere è frutto della morte e risurrezione del Cristo. Perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato. Il potere di Gesù ha per fine l’amore, e la vita eterna dei suoi discepoli, dell’intero popolo cristiano. A tutti coloro che gli hai dato . È una formula ripetuta più volte nel quarto vangelo, ed indica il mistero della predestinazione divina e quello della corrispondenza umana. Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre mio (Gv 6, 65). La fede è frutto dell’iniziativa di Dio e della risposta umana. Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo . Si nota subito che questo versetto sembra interrompere il corso del discorso di Gesù incentrato sulla sua glorificazione. Si può considerare come una parentesi nei primi cinque versetti. Alcuni pensano, addirittura, che sia un’aggiunta redazionale di carattere liturgico, ma è una supposizione. La vita eterna. È un termine che si trova spesso nel vangelo di Giovanni. A volte viene adoperata semplicemente la parola vita: la vita per eccellenza, la vita divina, la sola degna di questo nome. Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14, 6); In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini (Gv 1,4). La vita eterna della quale si parla nel nostro versetto, è la vita divina in quanto viene partecipata agli uomini. Che conoscano te. La conoscenza biblica non deriva da un processo semplicemente intellettuale, ma dall’esperienza e dall’amore, come possiamo leggere nella prima lettera di san Giovanni: Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore (1 Gv 4, 8); Chi dice: Lo conosco e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui (1 Gv 2,4). L’unico vero Dio. Giovanni afferma che il Padre è Dio, ma non vuole certamente negare la Trinità. Piuttosto, contrappone il Padre alla pluralità degli dèi, non alla pluralità delle Persone, ciascuna delle quali è l’unico vero Dio. Infatti: E colui che hai mandato, Gesù Cristo. Non è sufficiente conoscere il Padre, bisogna conoscere anche il Figlio. Egli, Figlio di Dio ma anche uomo tra gli uomini, è il mediatore presso Dio facendoci dono della sua filiazione. La conoscenza, perciò, nella quale consiste la vita eterna, è la conoscenza della Trinità. Come dice san Tommaso: La vita eterna consiste nel comprendere che tu e io siamo un solo vero Dio… La Persona dello Spirito Santo non è menzionata poiché è il legame delle altre due ed è quindi sempre sottintesa. L’espressione Gesù Cristo stupisce sulle labbra di Gesù, poiché non ancora in uso durante la vita del Salvatore. Lo sarà soltanto a cominciare dalle lettere di san Paolo. Sembra perciò dovuta alla penna dell’evangelista, che sicuramente l’ha ripresa dall’uso della chiesa primitiva. In questo passo si allude particolarmente alla conoscenza della fede, senza però escludere la visione beata. Poiché la conoscenza della fede è l’inizio della vita eterna, e, della fede, la visione beata è il completamento. Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l’opera che mi hai dato da fare. Sopra la terra. Sembra suggerire il significato celeste della glorificazione chiesta da Gesù. Compiendo l’opera che mi hai dato da fare. La parola- chiave di questa parte del versetto è l’ opera affidatagli dal Padre. Il termine ebraico che ad essa corrisponde è khephes, parola che racchiude molteplici sfumature. Significa infatti: volontà, beneplacito, compiacenza, progetto, opera, affare, cosa. L’unico ardente desiderio di Cristo è attuare il khephes del Padre, cioè l’opera della nostra redenzione. Varie volte se ne parla nel Nuovo Testamento. Nel momento di venire in questo mondo, Gesù dice: Ecco, io vengo […] per fare, o Dio, la tua volontà (Eb 10, 7). All’età di 12 anni dice ai genitori che lo ritrovano nel Tempio: Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio? (Lc 2, 49). E al pozzo di Giacobbe, dopo il colloquio con la samaritana, ai discepoli che lo invitavano a mangiare: Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera (Gv 4, 34). Giovanni sottolinea sempre il fatto che Gesù non cerca la propria volontà, ma la volontà del Padre, ciò che piace al Padre: Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite (Gv 8,29). Così andrà avanti tutta la sua vita, fino al pieno compimento nella morte, ove si attua nella pienezza il khephes del Padre. E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse. Sant’Agostino pensa che la gloria che il Figlio aveva presso il Padre prima della creazione del mondo, è la gloria umana e creata che il Padre da tutta l’eternità ha pensato e destinato per il Figlio. La quasi totalità dei commentatori preferisce, invece, vedervi la gloria che appartiene a Cristo in quanto Figlio di Dio, e trova in questo versetto una conferma alla dottrina della preesistenza divina del Figlio, quale la troviamo in Giovanni e in Paolo, In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Questa glorificazione presenta due aspetti complementari. Il primo presuppone la kenosi, l’annientamento della gloria del Figlio di Dio, annientamento estrinseco e temporaneo, secondo quanto dice Paolo ai Filippesi (2, 6-7): …il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò sé stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; questa gloria deve rifulgere nella pienezza e appartiene di diritto al Cristo, in quanto Figlio di Dio. L’altro aspetto della glorificazione è l’estensione della gloria divina alla natura umana in ragione dell’unione ipostatica. È la risurrezione propria di Gesù che nella sua umanità viene completamente permeato dal divino.