Fernando Alvarez e il suo gesto rivoluzionario
Può un minuto di silenzio diventare un emblema di protesta e ribellione? Sì, se viene compiuto in barba a un protocollo rigido e a un’organizzazione insensibile a ciò che le accade attorno. È quello che è successo ai Mondiali Master di Nuoto a Budapest, giunti alla 17esima edizione e terminati ieri. Un evento importante, patrocinato dalla Federazione Internazionale del Nuoto, che ha riunito più di 12000 atleti dai 25 anni in su: un programma di 23 gare spalmato su dieci giorni, dal 10 al 20 agosto. Una manifestazione sportiva imponente che, ovviamente, è stata scossa dalla notizia degli attentati di Barcellona e Cambrils dello scorso giovedì: 14 morti e oltre 120 feriti, una strage subito rivendicata dallo Stato Islamico.
Fernando Alvarez, nuotatore di 72 anni del Circolo Nautico di Cadice, era ai Mondiali di Budapest per partecipare alle gare di rana valide per la categoria Master 70: una volta venuto a conoscenza della scia di sangue che ha colpito al cuore la Catalogna, ha richiesto al comitato organizzatore di effettuare un minuto di silenzio in onore delle vittime, prima che avesse inizio la gara dei 200 rana in cui era coinvolto. La risposta negativa non si è fatta attendere: «non potevano far nulla – ha precisato Alvarez alla stampa – perché non era possibile perdere neanche un minuto, date le tante gare da disputare in giornata». La burocrazia non ha però fermato il nuotatore che, al momento della partenza della sua batteria, ha deciso di non tuffarsi, ricordando per sessanta secondi i morti dell’attentato e poi cominciando la sua gara.
Il tempo non è stato ovviamente omologato, ma resta il grande impatto di un gesto forte, a suo modo rivoluzionario. Il minuto di silenzio di sabato scorso ha così fatto rapidamente il giro del web e dei social network: «era chiaro che si dovesse osservare un minuto di silenzio – ha dichiarato Alvarez al quotidiano El Espanol – il sabato mattina, prima delle prove. Ho inviato una email agli organizzatori, ma non ho ricevuto risposta. Sono andato in piscina un’ora prima delle gare, per cercare qualcuno che approvasse la mia richiesta: ho ottenuto l’aiuto di uno dei medici, ma i giudici hanno rifiutato». Alvarez si sofferma anche sulla gara e le sue sensazioni: «una volta finito il minuto di silenzio mi sono tuffato, ma non ho avuto un buon tempo a causa di una brutta partenza. Quello che è successo avrebbe potuto colpire anche mia figlia: lei vive a Barcellona e aveva programmato di andare nella zona degli attentati proprio in quelle ore, ma ha deciso di partire più tardi e non è successo nulla».
«Ho avuto più soddisfazione che a vincere l’oro»: questa la chiosa di Alvarez che, con un gesto discreto e profondamente meditato, ha lanciato un segnale importante. Lo show non può e non deve sempre andare avanti, a dispetto di tutto e tutti: ci sono frangenti e circostanze in cui fermarsi a riflettere è più importante che inseguire i complicati incastri di protocolli rigidi come quelli delle grandi manifestazioni internazionali. Altre volte lo sport si è macchiato di insensibilità di fronte a grandi tragedie: l’esempio più grande è forse legato al mondo del calcio, quando il giorno degli attentati alle Torri Gemelle l’Uefa decise di far giocare le partite serali della Champions League, in un’atmosfera che ben poco aveva a che fare con una festa sportiva.
Accettare la richiesta del minuto di silenzio, a posteriori, avrebbe evitato all’organizzazione dei Mondiali Master di Nuoto un notevole imbarazzo a livello mediatico. Ci deve sempre essere tempo e spazio per il ricordo e la riflessione: questa è la lezione che un rivoluzionario atleta ultrasettantenne ha dato al mondo dello sport.