Gestire i conflitti senza paura per vivere meglio
I conflitti ci fanno paura, dobbiamo ammetterlo. Non parliamo delle guerre, ma delle divergenze, degli scontri, dei contrasti che possiamo sperimentare dentro di noi, ad esempio quando dobbiamo fare una scelta difficile, o con gli altri: a casa, a scuola, sul posto di lavoro, in politica, con il Dio in cui si crede…
Nel dossier Conflitti di Città Nuova dieci esperti – Daniele Novara, Ugo Morelli, Daniela Ropelato, Angela Mammana, Luigino Bruni, Piero Coda, Ivo Lizzola, Ernesto Olivero, Lucia Fronza, Michele De Beni – ci accompagnano in un viaggio alla scoperta di noi stessi e delle relazioni che ci fanno paura. Come spiega Novara, la vita stessa è conflitto. Non possiamo evitarli, ma possiamo imparare a gestirli. «Il più delle volte – spiega il fondatore e direttore del Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti – la violenza non è preceduta dal conflitto, si vive uno stato di pace apparente. Nei casi di femminicidio i vicini di casa spesso dicono che le persone coinvolte erano “tranquille”. L’idea che la pace coincida con il “volersi bene” appare quantomeno pericolosa».
“Il conflitto – afferma l’economista Luigino Bruni – ha molto a che fare con la diversità umana”, che “è una grande opportunità di felicità, ma anche una grande sofferenza perché a volte appare come scontro, come il diverso che arriva e mi vuol portare via qualcosa, che mi minaccia nella mia autonomia e nella mia intimità. In quest’ottica una soluzione antica al conflitto è cercare di ridurre i rapporti sociali. È l’idea molto ingenua, ma molto potente, che se io fossi capace di ridurre al minimo i rapporti con gli altri e confidare soltanto nei miei simili non litigheremmo e non ci faremmo del male”. E invece, aggiunge Bruni, la comunità di eguali produce forme di altissima infelicità.
“La gente che si chiude può anche convincersi di essere felice: le persone si abituano all’infelicità, ma ciò non vuol dire che si tratti di felicità. La felicità ha a che fare con gli altri: se io riduco i rapporti, se mi chiudo ai rapporti con i diversi, con chi potrebbe potenzialmente essere portatore di un problema e penso di fuggire dalle ferite, fuggo anche dalle benedizioni”.
Non si possono eliminare i conflitti, dunque, ma si può imparare a viverli e a superarli. La via privilegiata per farlo è il dialogo: in questo modo un contrasto diventa generativo, commenta Ugo Morelli, presidente di Polemos, Scuola di ricerca e formazione sui conflitti. Ascoltare, comprendere la posizione, il punto di vista dell’altro è indispensabile anche nella vita pubblica e quando si sceglie di fare politica. Ce ne parlano nel dossier Conflitti Daniela Ropelato, docente di Scienza politica all’Istituto Universitario Sophia di Loppiano, e Lucia Fronza Crepaz, coordinatrice dei progetti di cittadinanza attiva per la Scuola di Preparazione Sociale di Trento.
Angela Mammana, psicologa, ci aiuta a comprendere come nasce il conflitto intrapsichico e interpersonale. «Le cause più comuni sono la divergenza di interessi e il rancore. In questa dinamica spesso si esprimono emozioni intense di rabbia e paura, talvolta anche di vergogna. Quest’ultimo sentimento accompagna l’idea di non sentirsi apprezzati, il senso di inadeguatezza e di impotenza nasce dal confronto con l’altro in cui si percepisce un’ineguale distribuzione del potere».
Quando è invece il rapporto con il Dio in cui crediamo che ci fa stare male, come viverlo? «L’uomo – commenta il teologo Piero Coda, segretario generale della Commissione teologica internazionale – può uscire vincitore dalla lotta con Dio. Dio vuol farsi vincere: perché l’uomo possa accedere al segreto della sua esistenza e del rapporto con gli altri nell’orizzonte del suo/loro rapporto con Dio». Ernesto Olivero, fondatore del Sermig di Torino, ci parla invece di quando il conflitto diventa armato e si trasforma in guerra, com’è accaduto in Ucraina, con tutte le conseguenze terribili che ne derivano. Il pedagogista Ivo Lizzola ci parla del conflitto in famiglia e a scuola e ci invita a guardare con occhio nuovo ai nostri ragazzi, a dare loro lo spazio per renderli veri protagonisti sociali.
Senza adulti di pace non ci potranno essere giovani in pace, né grandi futuri e speranze di nuova umanità. Ma non serve solo partecipare, afferma il pedagogista Michele De Beni. “Occorre anche documentarsi, comprendere, perché molti conflitti, oltre a una deliberata scelta di guerra, nascono proprio dalla mancanza di conoscenza, da fraintendimenti, omissioni o false generalizzazioni”. Le difficoltà e gli ostacoli che ci troviamo a vivere non sono intralci da eliminare, ma elementi necessari per la convivenza pacifica. “Essi – conclude De Beni –sono la via necessaria per il dialogo. Servono una mente aperta, un cuore pensante. Serve più umanità e, per questo, uscire dall’angustia di schemi chiusi”.
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