Come gestire capricci e litigi
Ciascun genitore ha una propria idea sul modo migliore di educare i figli. C’è chi ritiene che la cosa più importante sia stabilire regole chiare e avere l’autorità necessaria per farle rispettare, chi enfatizza l’importanza di promuovere l’autonomia del bambino e la sua capacità di raggiungere buoni risultati, mentre altri ancora pongono l’accento sul dimostrare comprensione e affetto incondizionato. È sempre più frequente, inoltre, che i genitori si informino su quali siano i metodi educativi migliori, leggendo o seguendo programmi televisivi, o che si confrontino con altri genitori per avere un metro di paragone.
Quando l’orizzonte è sereno, è piuttosto facile rimanere coerenti con la propria linea educativa che, come una bussola, aiuta a mantenere la rotta. Tutto cambia però quando arriva una tempesta. A seconda della fase evolutiva in cui si trova il bambino, possiamo trovarci di fronte a sfide diverse.
Tra i 2 e i 3 anni può essere un capriccio al momento della nanna o per vestirsi al mattino, a 7 anni il rifiuto di fare i compiti, a 15 anni un orario di rientro non rispettato o un pomeriggio intero trascorso davanti al cellulare.
Qualunque sia la tempesta, essa genera solitamente nel genitore ondate di emozioni difficili: rabbia, frustrazione, timore di aver fallito, sensazione di essere al limite della sopportazione. Si tratta di stati d’animo fastidiosi che assorbono tutta la nostra attenzione e dei quali non è facile liberarsi.In queste situazioni c’è il rischio di reagire impulsivamente, riversando l’ingombrante carico emotivo che sentiamo direttamente sul figlio.
Durante un parent training, cioè un percorso di supporto alla genitorialità, una coppia di genitori mi raccontò che era diventato ormai impossibile per loro andare a fare la spesa tutti insieme. Il loro bambino di 4 anni continuava infatti a chiedere dolciumi e giocattoli, o meglio ad afferrarli dagli scaffali per poi reagire con urla, pianti e proteste quando gli veniva chiesto di rimetterli a posto. Le prime volte, invasi dall’ imbarazzo per gli sguardi della gente intorno, dopo aver provato invano a calmare il bambino e a farlo ragionare, si erano sentiti costretti a cedere, comprando il giocattolo. Purtroppo però la volta successiva il bambino era tornato alla carica, prendendo in mano un altro giocattolo. I genitori a questo punto, presi dalla rabbia, avevano reagito togliendogli con forza l’oggetto dalle mani e alzando la voce. Ma questo aveva generato una crisi di rabbia ancora più forte nel bambino, la quale a sua volta aveva innescato un’escalation di emotività negativa nei genitori e così via.
In situazioni come queste il genitore spesso reagisce non solo al comportamento del figlio, ma anche al proprio disagio emotivo. Il primo passo da fare per uscire dal circolo vizioso della reattività è rappresentato dall’entrare in contatto con questo disagio, riconoscerlo, ascoltarlo.
Concedere a noi stessi di provare le emozioni che si presentano ci rende più capaci di contenerle in noi senza doverle subito rigettare all’esterno. Può essere d’aiuto prendersi un momento per fare qualche respiro profondo e in quella pausa di consapevolezza scegliere il piano d’azione più efficace.
Non esiste una regola che ci permetta di formulare il piano d’azione migliore. Tuttavia alcune indicazioni possono essere utili. Quando il bambino o l’adolescente è in preda ad emozioni molto forti è sempre utile evitare di surriscaldare ulteriormente il clima emotivo. Il cervello e il corpo del bambino sono già molto attivati. Se l’adulto a sua volta si infiamma, si avrà un’escalation di emotività negativa.
Si attiverà così un circolo vizioso in cui le rispettive reazioni si potenzieranno a vicenda. Inoltre, in questi momenti di elevata attivazione emotiva, la capacità di comprendere il contenuto verbale di un messaggio è molto limitata. Se faremo lunghi discorsi a nostro figlio mentre è in preda alla rabbia, sarà difficile, se non impossibile, per lui coglierne il senso. Il canale non verbale è dunque da preferire.
Per tornare al nostro esempio, nel momento in cui il bambino piange e urla reclamando il suo giocattolo il genitore può aiutarlo a riconoscere la propria emozione, dicendo: “Vedo che sei molto arrabbiato e mi dispiace”, e può aiutarlo a calmarsi, mantenendo un tono di voce pacato e rassicurante. Può utilizzare il contatto fisico o invitare il bambino a fare “un bel respiro profondo” insieme a lui. In questo modo lo aiuta a conoscere e ad incanalare le proprie emozioni. Contemporaneamente è importante che il genitore non ceda al capriccio, mantenendo fermo il limite che è stato posto, anche quando il tentativo di calmare il bambino non va a buon fine.
Per giungere a questo è fondamentale che il genitore sviluppi e alleni la consapevolezza e la disponibilità di attraversare le proprie emozioni, prima ancora che quelle del figlio. Vi è un aspetto importante da sottolineare a questo proposito. Data l’intensità delle emozioni che si generano durante un conflitto genitore-figlio, la capacità di fermarsi senza agire la propria rabbia è molto difficile, non solo per il bambino ma anche per l’adulto.
A tutti i genitori è accaduto di infiammarsi di fronte al comportamento negativo del figlio per poi rendersi conto, in un momento successivo, che la propria reazione aveva solo peggiorato le cose. La capacità di mettere uno spazio tra emozione e comportamento va pertanto allenata con impegno e costanza, tollerando i propri errori e apprezzando ciascun progresso, anche se parziale. Ogni volta che il genitore, consapevole delle proprie emozioni, riesce ad accoglierle dentro di sé, senza fuggire da esse o riversarle impulsivamente sul figlio, lo aiuta a sua volta a sviluppare questa stessa capacità. L’opportunità di sperimentare tutto questo nella relazione genitore-figlio vale più di mille “ramanzine”, poiché vivere un’esperienza è il modo più efficace per apprendere qualcosa di nuovo.