Gerusalemme in attesa dell’arrivo di Francesco

Previsto per domani l'arrivo del pontefice in Terra Santa, per una tre giorni densa di incontri e appuntamenti. «La sua visita sarà un’occasione di festa e di gioia», afferma il rabbino David Rosen. Dal nostro inviato
Terra Santa

Le bandierine dello Stato d’Israele sventolano su tante auto nel centro di Gerusalemme, ma quelle macchine sono troppe e non tutte ben messe per annoverarle tra i veicoli governativi. Su numerosi edifici sono sistemati grandi vessilli con la stella di Davide. Siamo nel periodo delle feste nazionali israeliane, perché da poco è passato l’anniversario della Dichiarazione d’indipendenza dello Stato d’Israele (1948), mentre il 28 ricorrerà il Jerusalem Day, a commemorare la riunificazione della città sotto Israele dopo la guerra del 1967 contro la Giordania. Ricorrenze non proprio gradite ai palestinesi, che parlano di «catastrofe». Tanto meno se, in questi giorni d’attesa, un gruppo di giovani israeliani entra nella Città vecchia con passo deciso e voce trionfante, sventolando bandiere patriottiche. Questa è Gerusalemme, con la sua vita e la sua complessità.

L’American Colony è il maggior albergo della zona est e attorno ad esso sono situati altri eleganti hotel, davanti ai quali erano già pronti, alle 7,30 di questa mattina, piccoli e grandi pullman per trasportare i pellegrini nelle diverse località della Terra Santa fuori Gerusalemme. Il flusso del turismo religioso, grazie ad una situazione di conquistata tranquillità, non conosce soste e questo tempo primaverile, con temperature ancora non superiori ai 30 gradi, favorisce una rilevante presenza di persone da tante parti del mondo. Molte di loro, naturalmente, hanno programmato il viaggio in modo da non mancare ad un appuntamento con la Storia, ovvero alla venuta di papa Francesco a Gerusalemme. Perché il cosiddetto “effetto Francesco” è riscontrabile non solo a Roma e in una piazza San Pietro ormai risultata angusta per contenere gli arrivi, ma anche a Gerusalemme.

Oggi la città non si mostra febbrile e indaffarata, ma solo perché è venerdì, giorno festivo per i musulmani. Le grandi attese per la visita dell’illustre pellegrino sono però facilmente riscontrabili nelle parole delle personalità e nei discreti, minuziosi preparativi ufficiali di tutte le componenti religiose e statali. «Non vorrei risultare irriverente – ci dice il rabbino David Rosen, discorrendo nella sua terrazza con vista sulle meraviglie di Gerusalemme –, ma papa Francesco è diventato una superstar che suscita interesse anche oltre il mondo delle religioni. Ci immaginiamo perciò che la sua visita diventerà un festival, cioè un’occasione di festa e di gioia».

Vicario patriarcale dei greco-cattolici è l’arcivescovo Joseph-Jules Zerey, uomo di lunga esperienza e di manifesto entusiasmo. Si augura che «la presenza e la preghiera di papa Francesco susciti una pioggia di grazie per il Paese, per la pace e per tutti noi cristiani, bisognosi di conversione e di una fede più autentica». Sulla visita papale si nutrono, dunque, grandi aspettative, forse troppe, ma Bergoglio è ormai, suo malgrado, assunto a personalità mondiale di tale rilevanza e di contagiosa simpatia, che qui a Gerusalemme ci si aspetta (e si auspica) che il papa prenda qualche non programmata iniziativa, che faccia qualcosa in parole o in gesti, che fuoriesca dall’ordinario e dal protocollare. In buona sostanza, che, com’è suo solito, stupisca.

Non si aspettano altro di meglio le telecamere delle televisioni di mezzo mondo già arrivate da un paio di giorni e l’esercito di giornalisti e fotografi. Ovviamente, qui l’attesa di un gesto che susciti stupore non risponde alla logica dei media, ma parte dalla consapevolezza di una complicatissima situazione politica tra israeliani e palestinesi – con l’emblema di un lunghissimo muro che attraversa terre e persone e sembra respingere ogni realistico proposito di dialogo –, con un compromesso quadro economico per gran parte dei palestinesi, con un cammino di dialogo non agile tra i cristiani e di questi con ebrei e musulmani.

Non manca infine la trattativa in corso tra Israele e Vaticano che riguarda anche il Cenacolo, lì dove Gesù celebrò l’ultima cena, che si trova sopra la presunta tomba di David. Una prossimità ancora non risolta, che ha acceso alcuni animi degli ebrei ultraortodossi, portandoli a scrivere su qualche muro parole ingiuriose contro i cattolici. Gesto riprovato dal mondo ebraico, ma di grande risonanza per l’effetto mediatico planetario di cui ha beneficiato.

Già a buon punto i segni di benvenuto nel quartiere cristiano della Città vecchia. Un garrire festoso di bandierine con l’effigie della croce di Gerusalemme e con i colori giallo e bianco del Vaticano corre sui fili che, per l’occasione, attraversano le vie circostanti la Chiesa del san Salvatore e la sede della Custodia della Terra Santa, a breve distanza dalla Basilica del Santo Sepolcro. Qui attorno striscioni con il volto di Bergoglio danno il benvenuto a papa Francesco, ma sono stati adottati, per stare al passo con la tecnologia, anche qualche grande display che, inglese e in arabo, diffonde luminose scritte di saluto.

I netturbini, con scopa e cassetta, puliscono le strette strade lastricate, mentre alcuni trasportano a mano candelabri in legno e una grande immagine di un’Ultima cena tessuta al telaio. Anche questa è l’attesa. L’evento si avvicina e le operazioni iniziano molto presto. Sembra sottolinearlo la frase di un salmo – «Voglio svegliare l’aurora» –, risuonato stamani nelle chiese cattoliche di rito latino anche qui a Gerusalemme.

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