Georges Prêtre
Brahms, Sinfonie nn.3 e 4. Roma, Accademia Nazionale Santa Cecilia.
I direttori d’orchestra sono longevi. Merito della passione, dell’esercizio fisico e intellettuale che la professione comporta? Sembra di sì, osservando il direttore francese che, ad 86 anni (il prossimo agosto) dirige senza appoggi, senza partitura né occhiali, smette la bacchetta a sottolineare i passaggi più “cantabili”e si slancia con tutto il corpo nelle sinfonie brahmsiane.
Di esse sottolinea la leggerezza, con spirito tipicamente francese (che ha reso celebri le sue interpretazioni di Bizet, Debussy, Ravel ma anche dei tedeschi e degli italiani). Dalle sinfonie traspare un’aria autunnale, crepuscolare: finisce un mondo e sta per iniziarne un altro, nel secondo Ottocento. Brahms immette una vena melodica in una costruzione classica, robusta, con una malinconia che si trasfigura in slanci ed ombre, ascese ridenti, momenti di danza e cupi presagi. L’orchestra brahmsiana è mobile, appassionata, ma virile: intuisce le psicosi di un Mahler, ma è distante da queste.
Bisogna aver udito i colori e le luci dell’orchestra ceciliana per comprenderne l’unicità nella duttilità e bellezza di suono. La lunga amicizia con Prêtre ha reso entrambi strumenti docili alla musica. Uno dei più bei concerti mai ascoltati.