Genova di nuovo unita… dal suo ponte
Genova è di nuovo unita. Il nuovo ponte che unisce il capoluogo ligure è in piedi. Per il varo della posa dell’ultimo impalcato dei 19 totali che compongono il ponte disegnato dal genovese Renzo Piano e realizzato da PerGenova (Fincantieri Infrastructure e Salini Impregilo) sono arrivati a Genova anche il presidente del Consiglio Conte e il ministro delle Infrastrutture Demicheli.
Già dalla mattina era iniziata la lenta salita dell’ultima campata (adornata sui fianchi dalla bandiera di Genova, la croce di San Giorgio), che si è conclusa alle 12 con l’atto finale dell’assemblaggio.
Pioveva, quel tragico 14 agosto 2018. Con meno intensità, ma piove anche mentre si innalza l’ultima campata. Come fossero le stesse lacrime di allora. Quel 14 agosto Genova era rotta dal suono dell’andirivieni delle ambulanze. Oggi, mentre si posa l’ultima campata, è rotta dal suono della sirena del cantiere, accompagnato in tutta la città dal contrappunto delle sirene delle navi ormeggiate nel porto e dal suono delle campane che rimbalza in una città deserta per ricordare le 43 vittime del crollo del fu Morandi. Perché, come scrive qualcuno su Facebook, “potevamo esserci tutti quel giorno sul ponte e alla fine e come se ci fossimo stati tutti”.
«Da Genova – ha sottolineato Conte nel suo intervento – si irradia un nuovo modello per l’Italia. Un modello che cercheremo di replicare: è quello di ripartire insieme. Dopo il buio potremo vedere la luce ed è una luce che dà speranza all’Italia intera».
Una cerimonia strana, quella ai piedi del nuovo ponte, orfana dell’abbraccio della città, anche se forse nessuno avrebbe avuto voglia di far festa. Oltre a Conte e Demicheli c’erano anche Giovanni Toti, governatore della Liguria, Marco Bucci, sindaco di Genova e commissario per la ricostruzione, l’ad di Fincantieri, Giuseppe Bono e il presidente di Salini Impregilo, Pietro Salini.
Nella notte prima dell’ultima posa il nuovo ponte era stato illuminato dal tricolore. “L’Italia s’è desta”, ha twittato Toti condividendo la foto, aggiungendo: “Un’immagine che è il simbolo dell’Italia che non si arrende, della Liguria che non si è mai fermata, nonostante tutto, portando sempre nel cuore le 43 vittime del crollo del Morandi. Grazie a chi non ha smesso un attimo di lavorare in questo cantiere: il futuro è di chi ci crede”. Un grazie espresso anche pubblicamente agli ingegneri, tecnici e maestranze che hanno presenziato alla cerimonia e in questi mesi sono arrivati da tutta Italia per lavorare incessantemente all’assemblaggio dell’opera, giorno e notte. Segno di un impegno che non è stato solo della città, ma corale dell’Italia intera.
«Quando noi italiani vogliamo, sappiamo rimboccarci le maniche e fare grandi cose. Certo, non avremmo mai pensato che saremmo stati costretti a fronteggiare una pandemia capace di bloccare le attività produttive del nostro Paese e del mondo intero: ai nostri uomini che in questi mesi hanno lavorato senza sosta va ancora una volta il mio ringraziamento», commenta Bono di Fincantieri.
Come ha ricordato il sindaco Bucci nel suo intervento, «il ponte non è finito, ma oggi celebriamo il ricongiungimento delle due parti della Val Polcevera. Pe Zena e pe San Zòrzo (Per Genova e per San Giorgio)». Toti evidenzia come il nuovo viadotto sia anche un «simbolo di un’Italia che ce la fa a ripartire. Credo che questo sia qualcosa di più di un ponte. È utile a questo Paese. È la dimostrazione che insieme possiamo fare tante cose».
A margine della cerimonia Conte ha incontrato i rappresentati del Comitato residenti ai margini della “zona rossa”, che hanno sottolineato anche la necessità di una riqualificazione del sottoponte e delle zone adiacenti. Perché ripartire non significa solo parlare del ponte, ma di tutto ciò che è “crollato” insieme ad esso.
A vederlo nella sua interezza, si scorge, in questo nuovo grande vascello bianco, molta genovesità: la fierezza della Superba, sottolineata dalle note in sottofondo del “Ma se ghe pensu”, simbolo della cultura musicale ligure, ma anche lo stile asciutto, semplice, essenziale. Per completare l’impalcato sono serviti 19 sollevamenti, di cui 3 speciali per le maxi-campate, che ad oltre 40 metri di altezza, hanno scavalcato il torrente Polcevera e la ferrovia. Ora i lavori entrano in una nuova fase. Già nei prossimi giorni ci sarà l’appoggio definitivo, poi sarà la volta del rivestimento, della realizzazione della soletta su cui dovrà correre l’asfalto e a seguire l’installazione di speciali sensori, che lo renderanno il primo “smart bridge” d’Europa, e dei lampioni, che lo illumineranno.
L’inaugurazione è prevista per la seconda metà di luglio. Qualcuno su Twitter auspica che quel giorno, primo a percorrerlo, possa essere quel furgone verde della Basko rimasto simbolo della tragedia, per “concludere” simbolicamente quel tragitto interrotto appena in tempo prima di essere risucchiato dal crollo. Nel frattempo si dovrà anche decidere un nome: ad oggi molte sono state le proposte, da ‘ponte43’, in memoria delle 43 vittime, a ponte Paganini, a semplicemente “il Ponte di Genova”, l’idea lanciata da Piano.
Qualunque sarà la scelta, vedere “ricucita”, almeno fisicamente, quella ferita aperta quasi due anni fa è come poter tirare un sospiro di sollievo, pur ancora con il cuore gonfio di lacrime. Il simbolo di un’Italia capace di rinascere anche dalle ferite più profonde.