Genova e la sua storia recente

Ha chiuso domenica 26 febbraio la mostra “Gli anni del 68” organizzata dall’ “Associazione per un Archivio dei Movimenti di Genova”.

Allestita a Palazzo Ducale, ha visto la partecipazione di moltissimo pubblico e ha presentato nelle varie sale quanto in quegli anni significò la vita della città. Ben sette le sale utilizzate per contenere fotografie, manifesti, libri, opuscoli, documenti video interviste sugli “anni dei movimenti”. Il tutto ha fatto si che sembrasse attuale quella che è stata la storia di quasi 50 anni fa, quasi a percepire l’aria che si respirava, le conseguenze che certi gesti, gli scioperi, le parole ebbero sulla città. Genova è accomunata a quanto tutte le città italiane hanno vissuto in quegli anni, ma ha i suoi riferimenti ovviamente. Non si può non ricordare Luigi Tenco morto a San Remo nel 1967, come le canzoni di Fabrizio De André che canta la storia della gente povera, delle “graziose” che popolano i vicoli.

La chiesa è molto presente con il cardinale, Giuseppe Siri, molto conservatore simbolo di una chiesa con un fortissimo potere temporale. «A Genova s’è detto, c’erano tre poteri conservatori: l’industria di Angelo Costa, la missione pastorale del cardinal Siri e il Partito Comunista». E poi i cantieri navali, le acciaierie pubbliche, gli ottomila scaricatori del porto, di cui la maggior parte sottoposti a contratti da corporazione medievale. Iniziano gli scioperi forti, con adesioni massicce e gli operai che vengono caricati dalla polizia in piazza De Ferrari, e per la prima volta ci sono gli studenti che manifestano la loro solidarietà ai lavoratori. Alcuni preti coraggiosi si accorgono di quanto sta accadendo nel tessuto sociale, il malcontento prevale e fa paura, a Oregina, nasce un gruppo di cristiani impegnati, con a capo don Zerbinati che predica uno stile di vita alternativo, fatto di solidarietà ed uguaglianza. Subito lo seguono molte persone e si unisce un giovane chierico si chiama don Andrea Gallo.  Il “collettivo dei portuali” lotta duro e ottiene che un numero enorme di “avventizi” non vengano più pagati a giornata, ma ricevano un salario mensile.

Anche gli studenti delle superiori e dell’università  iniziano ad occupare  aule e facoltà, solidarizzando con il Vietnam, e partecipano in maniera sempre più attiva alla lotta al fianco degli operai nelle fabbriche. Nascono scuole di pensiero nuove col professor Faina, c’è chi segue Basaglia per una psichiatria umana, chi fonda una nuova medicina del lavoro, sorgono i primi collettivi femministi, si chiede la depenalizzazione dell’aborto e il salario alle casalinghe. Mentre un piccolo gruppo di operai scontenti del partito comunista e del suo imborghesimento, decide di passare all’azione. Sorge così la banda XXII ottobre, le BR trovano terreno fertile, per  consumare le loro azioni eversive. dal rapimento del giudice Sossi, che costituisce il primo «attacco al cuore dello Stato», la prima volta che le BR escono dalle fabbriche, per colpire direttamente il potere politico; a seguire il primo omicidio rivendicato, quello del procuratore generale di Genova, Francesco Coco trucidato, con gli agenti della scorta, alle soglie della sua abitazione. La lotta armata sarà un aspetto importante della vita politica della città per tutto il decennio. La storia di Genova in quegli anni rivissuta attraverso manifesti, volantini, testimonianze.  E dibattiti tanti, interessanti.  «Il ’68  – per il presidente di Palazzo Ducale Borzani -, è stato una vittoria culturale, ma una sconfitta politica. Un periodo di rottura che ha  accelerato il processo di modernizzazione già in atto nel nostro paese, ma la distanza che allora separava i giovani dai propri genitori, oggi è aumentata. Quella era una generazione che si identificava nella categoria stessa dell’essere giovani e dell’affermazione di sé, che tendeva a farsi coincidere direttamente con il futuro. Oggi i giovani sono invisibili nei loro linguaggi e comportamenti e forse la colpa è anche degli adulti: troppo a lungo continuano a considerarsi giovani. Mentre allora ci fu una riscoperta della politica che portò ad un nuovo tipo di impegno, oggi assistiamo ad una depressione del fare politico, una situazione che unita alla dimensione di consumo, alla povertà o all’eccellenza culturale, getta le nuove generazioni in una condizione di stand by, dove le prospettive per il futuro sono poche».

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