Genova e il giornalismo dei cittadini

Abbiamo seguito minuto per minuto le vicende liguri grazie al cosiddetto citizen journalism. Cioè quello dei nostri cellulari
Genova dopo l'alluvione
Non è la prima volta che accade. Negli Stati Uniti è pratica quotidiana, quella di seguire le vicende di cronaca attraverso i contributi scritti, ma soprattutto visivi, provenienti da anonimi cittadini che inviano ai siti preferiti i loro scoop. Basta un cellulare fornito di telecamera e di una tastierino digitale per inviare servizi su rapine, eventi naturali, improvvisi arrivi da qualche parte di star del cinema, e via dicendo.

 

Qui da noi l’avvento del giornalismo dei cittadini – citizen journalism – è coinciso con i tragici avvenimenti della Linguria, in particolare dell’alluvione che ha colpito Genova. Abbiamo tutti visto in tv i filmati inviati attraverso YouTube o altri siti. Immagini decisamente impressionanti, visto che venivano riprese nel cuore degli avvenimenti, mentre cioè, come diceva Montanelli, «l’attualità si faceva». Alle venti mi ero ad esempio sintonizzato su La7, che ha trasmesso quattro interminabili minuti in cui si vedeva una via di Genova invasa dalle acque sempre più turbolente, che trasportavano motorini, auto, cassonetti, animali e umani. Il tutto ripreso con un iPod discretamente maneggiato, mentre sullo sfondo si sentivano i pianti, le grida, la disperazione da nervi saltati della giornalista-cittadina. Stucchevole.

 

La vicenda costringe ad interrogarsi sui pregi e gli inconvenienti di un tale giornalismo, che sta mettendo in crisi il giornalismo tradizionale, in particolare quello delle troupe televisive atte ad accorrere là dove accadono avvenimenti degni di “notiziabilità”. Certamente la capillarità della diffusione dei telefonini ha moltiplicato a dismisura la possibilità che qualcuno registri nel suo farsi l’attualità immediata, con una grande facilità a pubblicare sui siti ad hoc le proprie produzioni. La qualità delle immagini, evidentemente, conta poco, mentre è solo la tempestività che premia il giornalista involontario. Inoltre, non è da trascurare l’effetto positivo di una “democratizzazione del giornalismo”, quasi un’abolizione ante litteram degli ordini professionali.

 

Ma ci sono anche degli inconvenienti. Primo fra tutti la mancanza di preparazione professionale dei cittadini-giornalisti, che mettono in Rete qualsiasi cosa, bella o brutta che sia, con commenti spesso stucchevoli, con il solo scopo di esserci, il prima possibile e il più clamorosamente possibile. Questo però non è giornalismo, quando soprattutto, nel rincorrere l’attualità, i giornalisti delle varie testate pubblicano e diffondono prodotti mediatici di infima qualità, spesso incapaci di dare una visione complessiva degli avvenimenti, concentrandosi su un dettaglio che diventa universale. Non è un problema di poco conto, nel momento in cui si accusano i giornalisti di non svolgere più la loro “missione” al servizio dell’informazione e della verità. Le carte si ingarbugliamo ulteriormente e la qualità dell’informazione va a farsi benedire.

 

Il servizio cui accennavo prima, trasmesso da La7, ma anche da altre emittenti, era un esempio lampante di tale corto circuito mediatico: effetto choc, ma anche travisamento della realtà (non tutta Genova era in quelle condizioni), piagnistei inutili e antipatici, esaltazione del sentimento e dell’emotività… Altro effetto, è la riduzione progressiva degli inviati, cioè di quei giornalisti che corrono là dove accadono le cose, vanno sul posto, che col loro bagaglio professionale sapevano (ma sanno ancora?) riuscire a rappresentare la realtà in poche parole e poche immagini, con un’approssimazione credibile.

 

 

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