Il papa ai genovesi: Andate a “missionare”

Dalla visita all'Ilva, a quella in cattedrale, a quella al Gaslini, all'incontro con i giovani: la giornata genovese del pontefice è stata occasione per parlare di lavoro, pastorale e "missionarietà"
ANSA /LUCA ZENNARO

La giornata del papa a Genova si sta chiudendo, la celebrazione della messa è terminata. Mancano una manciata di minuti alle diciannove quando il coro intona Ma se ghe pensu, canto che racconta la storia di un genovese che è costretto ad emigrare in America Latina. Spinto alla ricerca di fortuna viene malinconicamente però richiamato ai pensieri, alla bellezza della sua città, con il desiderio di poter tornare. È un omaggio a Bergoglio i cui nonni e il papà giovane da Genova sono partiti nel 1929 per l’Argentina. I quasi centomila che hanno invaso la zona della foce, il lungomare, e le piazze laterali, cantano insieme al coro. È l’ultima immagine che si porta con sé papa Francesco. È generoso, commovente, l’abbraccio della città che lo applaude, che si commuove, che sventola bandiere, che offre granite al gusto di mate.

Una giornata cominciata presto nello stabilimento Ilva dove ha voluto incontrare il mondo del lavoro e dove nel suo discorso a operai e imprenditori cita «la tanto osannata meritocrazia. Una parola bella perché usa il merito sta diventando una legittimazione etica della diseguaglianza. Il talento – dice il papa – non è un dono secondo questa interpretazione, è un merito, non un dono». Poi dice che «una malattia dell’economia è proprio la progressiva trasformazione degli imprenditori in speculatori, le imprese buone sono amiche delle persone e dei poveri. Ma non tutto il lavoro è buono, pensate a quello dei fabbricanti di armi o di chi fa la pornografia!». In cattedrale ad attenderlo ci sono circa 1.700 tra religiose e religiosi, suore e monache di clausura, oltre a rappresentanti di altre confessioni tra i quali un sacerdote cristiano copto. «Con lei supereremo il timore e le stanchezze per andare ancora più a largo», dice il card. Bagnasco.

Bergoglio risponde a quattro domande tra le quali indica i criteri per esseri bravi pastori, e non «preti google» o «preti wikipedia che sanno tutto e non hanno bisogno di nessuno. Questa, autosufficienza, è una realtà che fa tanto male alla vita presbiterale». E aggiunge che fa male uguale «stare un’ora davanti al tabernacolo senza incontrare il Signore, pregando come un pappagallo», o fissare degli orari per incontrare i fedeli: «Quello non è un prete, è un buon imprenditore. Ma mi domando, è un buon cristiano? Quando lavori con la gente, la gente ti stanca e a volte ti stufa pure. Ma bisogna lasciarsi stancare dalla gente, non difendere troppo la propria tranquillità». E ancora parla della «tratta delle novizie», della «missionarietà» e «della testimonianza cristiana», delle «invidie e gelosie» in monasteri, seminari e congregazioni e del calo di vocazioni che va di pari passo con il calo demografico.

Lasciata la cattedrale parte verso il Santuario della Madonna della Guardia, per l’incontro con circa 3 mila giovani provenienti da tutta la Liguria che lo accolgono con un lunghissimo applauso. I giovani pongono domande, il papa risponde. Parla della questione migratoria e domanda ai giovani: «È normale che il Mediterraneo sia diventato un cimitero? È normale questo? È normale che tanti Paesi  chiudano la porta a gente piagata, che sfugge dalla fame e dalla guerra? Questo è normale? Se questo non è normale, allora mi debbo coinvolgere, devo impegnarmi perché questo non succeda. E se non hai coraggio di coinvolgerti, stai zitto e chiedi coraggio al Signore». «Navigatori, orizzonte, coraggio» sono le parole chiave lasciate ai giovani e l’invito a «non essere turisti», ma «andare a “missionare”» ed avere lo stesso «coraggio di Cristoforo Colombo» che «mi dicono che era uno dei vostri». Segue il pranzo, nel ristorante del Santuario, con 135 tra poveri, rifugiati, senza dimora e detenuti.

Terminato il pranzo si torna in città all’Ospedale Pediatrico Gaslini dove visita il reparto di rianimazione e si raccoglie in preghiera. Poi incontra i piccoli degenti e il personale dell’ospedale a cui rivolge un breve saluto e firma il libro d’onore. Nel breve saluto ai bambini malati e i loro genitori incoraggia il personale medico e infermieristico a proseguire in questo lavoro di «umanità» e «carità». «Tante volte faccio e rifaccio la domanda: perché soffrono i bambini? Non trovo spiegazione, solo guardo il Crocifisso e mi fermo lì», confida il papa a braccio. Tra gli applausi generali e i pianti dei neonati.

Sono oltre 70 mila i fedeli di Genova e di diverse parti della Liguria che accolgono papa Francesco al suo arrivo in jeep bianca scoperta sulla spianata di piazzale Kennedy, dove si svolge la grande messa conclusiva alla quale assistono anche alcuni parenti liguri di Bergoglio. Nell’omelia parla dei danni provocati da chiacchiere e maldicenze: «Lasciamole agli altri», come le «finte discussioni» di chi ascolta solo se stesso. Il pontefice invita invece a lavorare «per il bene comune e la pace», mettendosi in gioco «con coraggio, convinti che c’è più gioia nel dare che nel ricevere». «Vivendo sempre tra cose da fare, possiamo diventare inquieti per nulla. Per non farci sommergere da questo “male di vivere”, ricordiamoci ogni giorno di “gettare l’àncora in Dio”: portiamo a Lui i pesi, affidiamogli tutto», afferma ancora papa Francesco nella messa che chiude l’intensa trasferta genovese.

 

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