Genitorialità e conoscenza di sé
Come è noto da molti studi condotti nell’ambito della psicologia dello sviluppo, la relazione che un bambino intesse con i propri genitori, ed il legame di attaccamento che si crea sin dalla nascita, influenza moltissimo lo sviluppo della sua personalità. Più il genitore è in grado di sintonizzarsi e di riconoscere i suoi bisogni emotivi, oltre che fisici, più il bambino tenderà a crescere con una buona consapevolezza di sé e con una buona autoefficacia.
È dunque evidente quanto sia importante il ruolo di chi si prende cuore di un piccolo d’uomo, quanto siano determinanti le sue scelte e le sue modalità di accudimento. Tuttavia, non sempre, risulta così facile capire quale sia il modo migliore di affrontare le molteplici situazioni che ci si trova a vivere con i propri figli.
Quello che in teoria ci sembrava chiaro e lineare, riguardo a cosa fosse giusto o sbagliato fare per un genitore, non lo è più quando ci troviamo immersi in questa esperienza, per certi versi già nota, ma con un ruolo completamente diverso. E quelle che sembravano certezze diventano domande: cosa vuol dire essere un bravo genitore? Cosa fa, come si comporta, come gestisce i momenti difficili un bravo genitore? Come concilia tenerezza e disciplina?
Ciò che sembrava semplice diventa confuso, talvolta persino faticoso. Accade così di trovarsi a fare cose che mai avremmo pensato di mettere in atto con i nostri figli. Alcune situazioni, infatti, scatenano in noi forti emozioni, che rendono molto difficile prendere delle decisioni in modo lucido, avendo chiaro in mente che tipo di genitore vorremmo essere.
Prima di essere genitori, siamo esseri umani, con una nostra storia, all’interno della quale si annidano vissuti, pensieri, sensazioni, di cui non sempre siamo consapevoli. Le nostre esperienze infantili e soprattutto il rapporto sperimentato con i nostri genitori, se non compresi ed elaborati, possono continuare ad influenzare il modo in cui ci comportiamo con i nostri figli. Questo non accade soltanto con traumi o esperienze particolarmente negative, ma anche con vissuti meno intensi e apparentemente insignificanti, che facevano parte della nostra quotidianità.
Cristina, una giovane mamma, mi racconta di aver reagito con apprensione e rabbia quando suo figlio Manuel, di 8 anni, che a scuola era sempre stato molto brillante in tutte le materie, un giorno era tornato a casa, dispiaciuto e preoccupato per aver preso 6 in storia. In quel momento Cristina aveva cominciato a tempestarlo di domande, e pur non volendo rimproverarlo, aveva finito per scatenare in lui la stessa ansia che sentiva dentro.
Come mai era successo questo proprio a lei, che si era promessa più volte di non essere mai una di quelle mamme che pretendono di aver figli infallibili? Riflettendo su questo episodio, Cristina è riuscita a far riemergere alcuni aspetti della propria storia, ed in questo modo è riuscita a comprendere meglio il meccanismo che può averla spinta ad agire in quel modo. Da bambina era molto brava a scuola e per questo veniva spesso lodata dai propri genitori. Quando incontravano amici e conoscenti alla prima occasione esordivano con la frase: “Cristina ha tutti 10”. Questo complimento, invece di renderla felice, la metteva in imbarazzo e faceva crescere in lei l’ansia, pensando alla delusione che avrebbe procurato loro, qualora avesse preso un voto più basso delle loro aspettative.
Crescendo Cristina aveva dimenticato questi suoi vissuti, o meglio non era più consapevole di questi ricordi. Essi però non erano spariti. Erano stati, per così dire, risvegliati dal dispiacere di Manuel per il suo 6 in storia, e avevano preso il sopravvento sulla sua emotività e poi sul suo comportamento. Proprio come un corto circuito emotivo.
Così come è accaduto a Cristina, molti genitori si rendono conto di fare con i propri figli ciò che non sopportavano di ricevere da uno o da entrambi i genitori quando erano bambini. Le emozioni dei nostri figli possono far riemergere in noi, in maniera inconsapevole, emozioni ed esperienze che abbiamo vissuto in passato, e che non siamo riusciti pienamente ad elaborare.
In queste situazioni siamo più vulnerabili, nervosi, reattivi e rischiamo quindi di mettere in atto comportamenti in modo impulsivo ed automatico, perdendo di vista ciò che è veramente importante. Come uscire da questo circolo vizioso?
Diventando consapevoli di questo meccanismo, e sviluppando una maggiore conoscenza di sé e della propria storia, è possibile far la pace con i vissuti difficili che ci hanno fatto soffrire. Questo, a sua volta, ci consente di riconoscere il corto circuito emozionale, proprio mentre accade, avendo così la possibilità di interromperlo e di mettere in atto altri comportamenti più funzionali e più in linea con il genitore che vorremmo essere.