Genitori con la patente

Abbiamo tre figli e spesso consultiamo diversi manuali che parlano della crescita dei bambini e dei problemi più comuni, per avere un aiuto nel difficile compito di essere genitori. Ci colpiscono i suoi frequenti riferimenti alla relazione come fonte anche di salute per i bambini. Può dirci qualcosa in più?. Monica e Pietro – Lecco Circa dieci anni fa iniziai a realizzare una trasmissione tv per un’emittente locale intitolata Genitori con la patente, ed ora sto producendo un libro con lo stesso titolo. È un titolo provocatorio: cosa vuol dire essere bravi genitori, genitori con la patente? Lo si è se si conoscono la puericultura, le patologie, le tappe di sviluppo di un bambino? La mia risposta è no. Certo tutto ciò può aiutare, ma per essere genitori con la patente vi è bisogno di permettere al bambino di vivere circondato da un clima di accettazione e disponibilità dei coniugi tra loro e verso di lui. Essenziale è avere il coraggio di donare a nostro figlio noi stessi, ciò che veramente siamo, al di la di come vorremmo essere. Chiarisco meglio ciò che intendo dire. Una componente essenziale di una relazione significativa è l’esperienza di condividere i sentimenti e le emozioni. Ciò sembra semplice e naturale debba avvenire con le persone che amiamo, ma spesso non lo è. Se infatti siamo meno belli rispetto a come vorremmo essere, ad esempio stanchi, demoralizzati, preoccupati, falliti in tanti aspetti lavorativi o personali, se insomma la nostra immagine ideale è distante da quella reale, può succedere che neghiamo anche a noi stessi e ovviamente agli altri di guardarci, perché non ci accettiamo abbastanza e non vogliamo deludere coloro cui vogliamo bene, casomai preoccupati di essere un cattivo esempio. In buona fede, pensando di stare facendo la cosa giusta, ci mettiamo la maschera del genitore perfetto, del marito soddisfatto, di colui che sa la strada giusta e a cui va tutto bene. Il problema è che se viviamo nascondendoci, con il tempo la relazione stessa diverrà finta e i motivi di incomprensione e di allontanamento emozionale si accresceranno. Arriverà un momento in cui sarà difficile vivere insieme le emozioni, perché troppo poco abituati a farlo, imprigionati da un ruolo che è divenuto un’immagine rigida, stereotipata, in cui prevarranno le ragioni della paura e della diffidenza, quindi del conflitto. Il dono più grande che possiamo fare ad una persona cui vogliamo bene, in primis a nostro figlio, è farci vedere per come realmente siamo. È un’azione di grande coraggio, che spesso richiede tempo e piccoli passi, ma apre la porta a una relazione vera e perciò solida. Se ho voglia di piangere devo farlo. Se sono preoccupato, se sono deluso, devo dirlo. Se lo farò come atto d’amore, se non sarà uno scaricare sull’altro ma un fargli il dono più grande, il dono di me stesso, saprò trovare il momento giusto. Perché questo momento arrivi c’è bisogno che il figlio si senta prima ascoltato, senza riserve, senza giudizio. Ma se ciò avverrà, se lui non si sentirà assalito, se insomma invece di fargli la predica gli avrò detto il mio stato d’animo, le mie emozioni, senza l’obiettivo di condizionare le sue scelte o di cambiarlo, allora gli avrò permesso di avere una parte del mio cuore. Per fare ciò non vi è bisogno che il figlio sia grande, anzi quanto prima inizieremo, tanto più forte sarà questa diga d’amore che costruiremo insieme per affrontare le intemperie della vita.

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