Genere al posto di sesso
Per la teoria del “gender” mascolinità o femminilità sono costruzioni culturali imposte da cui liberarci. E invece…
«Salve, mi chiamo Tempesta». È l’originale modo con cui due genitori di Toronto, in Canada, David e Kathy, hanno chiamato di proposito il loro figlio/figlia. Usando un nome comune, infatti, non si riesce più a distinguere se il loro bebè sia maschio o femmina, perché nella lingua inglese i nomi comuni come storm sono di genere neutro.
È un’applicazione pratica della teoria del gender, cioè del genere, inteso non più come categoria grammaticale ma concettuale, che non prende in considerazione le differenze sessuali biologiche tra maschi e femmine per definire l’identità della persona. «Sarà poi Storm crescendo – dichiarano i genitori – a decidere se si sente un bimbo o una bimba». Se il sesso biologico viene così eliminato per sempre nella considerazione della gente, il corpo rischia di diventare un involucro neutro, come un manichino, che può indossare l’identità sessuale percepita dalla persona e non imposta da natura, cultura, storia, genitori e società.
«Siamo convinti – spiegano i genitori – che sia meglio per lui/lei, e che questa decisione contribuirà a rendere il mondo migliore». Al netto della decisione ideologica, eccessiva e irrealistica, c’è anche del vero, dichiara la psicologa Anna Olivero Ferraris, quando «si decide di non crescere i piccoli secondo stereotipi marcati, imponendo comportamenti considerati solo maschili o solo femminili. In questo senso sono favorevole a non insistere sulle differenze sessuali, spesso create ad arte anche da leggi di mercato, come nel caso degli oggetti e dell’abbigliamento».
La filosofia del gender ha invaso anche la società dello spettacolo. La pubblicità fa tendenza seguendo l’andazzo della società. Più si cavalca l’onda e più si è politicamente corretti. Poco cambia se lo scenario è la pubblicità di un aperitivo, un divano o di una compagnia di navigazione.
Se si parla di trans, la pubblicità, ma anche la moda, i talk show della tv, avranno un trans protagonista. Campeggia in questi giorni nelle nostre città un cartellone pubblicitario di una compagnia marittima, che collega Napoli e Catania con traghetti giornalieri: un trans in primo piano con attributi femminili prorompenti e lineamenti maschili, anche se celati sotto una cascata di maquillage. E uno slogan: «Be Transported», con la parola trans in grassetto, che si può tradurre con «lasciati trasportare», non solo con le nostre navi, ma nella libertà di essere trans, mutevole e ambiguo nella tua identità sessuale.
Pubblicità al servizio della filosofia del gender, vocabolo ormai contrapposto alla parola sesso che si riferisce ancora alle “antiquate” differenze biologiche tra maschi e femmine.
Così antiquate e superate che il suo ideatore, John Money, diede avvio a Baltimora alla prima clinica per l’identità di genere, sottoponendo i pazienti ad operazioni chirurgiche per cambiarne il sesso.
Correva l’anno 1965 quando a una coppia canadese nacquero due gemelli omozigoti: David e Brian. La storia è narrata nel libro Gender, genere di Giulia Galeotti per i tipi della Viverein. Appena compiuti due anni, i gemelli sono sottoposti a un normale intervento di circoncisione che si trasforma nella drammatica perdita del pene del piccolo David. John Money convince i genitori a trasformare David in Brenda, perché sono sufficienti una piccola operazione, un po’ di ormoni e un’educazione adeguata a trasformare un bambino in una bambina e fornire, così, prove scientifiche alla teoria del gender.
Passano nove anni ma Brenda è una bambina decisamente strana: si muove, parla e cammina come un maschio, fa la pipì in piedi, ruba giochi e vestiti al gemello maschio, fino allo sbando più completo nonostante la famiglia segua pedissequamente i consigli di Money. «Né la chimica – scrive Giulia Galeotti –, né la socializzazione sono riusciti a fare di lei una ragazza». L’epilogo è, purtroppo, drammatico. Brenda apprende dai genitori dell’operazione avuta in tenera età, si amputa il seno cresciuto con gli ormoni, si sottopone a un intervento per la ricostruzione del pene e sposa Mary, una giovane donna madre di tre figli. Ma nel 2004 improvvisamente si toglie la vita. Alcuni medici dell’università John Hopkins di Baltimora si interessano al caso e rintracciano 25 bambini nati senza pene, per la maggior parte castrati e cresciuti come ragazze. 14 si dichiarano maschi e tutti prediligono giochi violenti tipici dei ragazzi.
Altro campo inondato dalla filosofia del gender è quello legislativo. In Spagna sono state modificate tre norme del diritto civile. L’articolo 44 è cambiato da «l’uomo e la donna hanno diritto a contrarre matrimonio» a «qualunque persona ha diritto a contrarre matrimonio»; l’articolo 66 è passato da «il marito e la moglie sono eguali nei diritti e nei doveri» a «i coniugi sono uguali nei diritti e nei doveri»; così l’articolo 67 ha sostituito «il marito e la moglie debbono rispettarsi e aiutarsi reciprocamente» con «i coniugi». La conseguenza è ovvia: una coppia non è più formata da un uomo e una donna, ma da tutte le combinazioni possibili. Non si parla più di famiglia ma di famiglie: monoparentale, ricomposta, omosessuale.
Così, nella procreazione, le madri possono non essere donne e i padri non essere maschi. I padri essere due, la madre mancare, e viceversa. Per distinguerli si chiamano genitori A e B in vari Paesi europei.
«In Austria e Germania – ci spiega Vincenzo Buonomo, professore di Diritto internazionale – la famiglia non è più la prima agenzia educativa, per cui non c’è più bisogno dell’identificazione con la figura paterna o materna e si delega alla scuola questa funzione».
Nel 2007 è stata approvata in Spagna la legge che permette di cambiare nome e sesso sui documenti senza dover affrontare un’operazione chirurgica. In Argentina nel 2008. Anche qui non conta la caratteristica sessuale, se si è uomo o donna, ma come ogni singolo individuo si percepisce in un determinato momento.
Uno degli sponsor più attivi, oltre l’Onu che ha introdotto la terminologia del gender già dagli anni Novanta nei documenti ufficiali, è l’Unione europea che ha stanziato, solo tra il 2000 e il 2006, oltre tre miliardi e cinquecento milioni di euro per sostenere l’ideologia del gender. Il che spiega la rapida diffusione della nuova filosofia.
«Ma la cosa interessante – sottolinea Buonomo – è che la filosofia del gender si impone attraverso strumenti non legislativi, di carattere amministrativo: risoluzioni, circolari, atti di indirizzo e orientamento per gli organi dello Stato. È una procedura ancora più efficace perché è capillare».
Bisognerebbe anche accennare agli studi di antropologi come Binswanger e Gius e alle storie di vita, che confermano che la differenziazione sessuale vissuta come valorizzazione di un patrimonio avuto “a priori” porta alla realizzazione personale e sociale. Ma per completare l’approfondimento, occorre conoscere anche il pensiero della Chiesa sull’argomento.
Aurelio Molè
La teoria del gender e il pensiero della Chiesa
Il disegno di Dio sull’umanità maschile e femminile
«Dio creò l’uomo a sua immagine, ad immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò» (Gn 1, 26-27). Così la Genesi afferma che uomo e donna hanno la stessa dignità, pur essendo diversi tra loro.
Giovanni Paolo II fa notare che questo non significa solo che ciascuno dei due è creato «ad immagine di Dio», ma che come “unità dei due” sono chiamati a «rispecchiare nel mondo la comunione d’amore che è in Dio» (Mulieris Dignitatem). Quindi il rapporto uomo-donna, come del resto ogni relazione umana, ha il suo modello di vita nella relazione trinitaria.
Uomo e donna, uguali e diversi, sono chiamati non solo a esistere «uno accanto all’altra», ma anche reciprocamente «l’uno per l’altro»: questo vale non solo per chi è chiamato al matrimonio, ma anche per il rapporto tra tutta l’umanità maschile e femminile, dove la ricchezza della diversità diviene dono, come spiega Giovanni Paolo II. All’unità tra uomo e donna Dio affida «non soltanto l’opera della procreazione e la vita della famiglia, ma la costruzione stessa della storia» (Lettera alle donne).
L’egoismo, in questo rapporto, prende due volti: la tendenza a dominare l’altro/a e a “usare” l’altro/a per il proprio piacere. Gesù, indicando l’amore come stile di vita di ogni relazione umana e l’amore reciproco come segno di riconoscimento per coloro che lo seguono, mostra la via per sanare il non-amore nella relazione uomo-donna.
La storia dell’umanità, tuttavia, è segnata dal “dominio” dell’uomo sulla donna, dalla negazione di molti diritti al mondo femminile, da cui il legittimo desiderio della donna di superare questa situazione. Nel 1800 nasce il femminismo, che continua a portare avanti le proprie rivendicazioni nel Novecento. Il femminismo, nella sua forma più radicale, teme che la donna sia confinata nel suo ruolo di madre a restare in una situazione di inferiorità: da qui la nascita di una ideologia che, per affermare l’uguaglianza uomo-donna, nega la loro diversità, attribuendola solo all’influsso di fattori culturali e sociali.
È la teoria del gender, sorta verso la fine degli anni Sessanta, dall’incontro tra femminismo radicale, dialettica marxista e rivoluzione sessuale, che ha radici nella psicoanalisi freudiana. Riferendosi al marxismo afferma che, come nella lotta di classe tra oppressi e oppressori, nel rapporto uomo-donna, la società si organizza per conservare il potere maschile e lasciare le donne in una posizione di inferiorità, ed il matrimonio stabilisce in maniera definitiva queste disuguaglianze, rendendo la donna proprietà del marito. Inoltre, sostiene che tutte le differenze sociali, culturali e psicologiche tra uomini e donne non sarebbero naturali, ma semplici costruzioni sociali, per mantenere una situazione di disuguaglianza. Le differenze biologiche non avrebbero una grande importanza e l’identità di genere non sarebbe legata al sesso della persona.
La teoria del gender è il riferimento teorico del movimento queer o transgender che, non accettando il legame sesso-genere, rifiuta di definire le persone utilizzando termini che ne indicano la sessualità (uomo, donna, mamma, papà, bambino/a) e afferma che ciascuno costruisce il proprio “genere” fluttuando liberamente tra il maschile e il femminile, passando per tutte le possibilità intermedie, cambiando identità sessuale anche più volte nel corso della vita.
Questa ideologia si è sviluppata soprattutto nelle due Conferenze Onu del Cairo (1994) e di Pechino (1995).
Proprio in occasione di Pechino, Giovanni Paolo II scrive la nota Lettera alle donne dove parla del “genio femminile” riaffermando che «femminilità e mascolinità sono tra loro complementari non solo dal punto di vista fisico e psichico, ma ontologico. È soltanto grazie alla dualità del maschile e del femminile che l’umano si realizza appieno».
Nel 2004, la Congregazione per la Dottrina della Fede scrive una interessante Lettera ai Vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, in cui presenta anche la “teoria del genere”.
Benedetto XVI, il 22 dicembre 2008, sottolinea che «non è una metafisica superata, se la Chiesa parla della natura dell’essere umano come uomo e donna e chiede che quest’ordine della creazione venga rispettato. Qui si tratta di fatto della fede nel Creatore e dell’ascolto del linguaggio della creazione, il cui disprezzo sarebbe un’autodistruzione dell’uomo». Poi, riferendosi alla teoria del gender, precisa: «Ciò che spesso viene espresso ed inteso con il termine gender, si risolve in definitiva nella autoemancipazione dell’uomo dal creato e dal Creatore. L’uomo vuole farsi da solo e disporre sempre ed esclusivamente da solo ciò che lo riguarda. Ma in questo modo vive contro la verità».
Possiamo concludere che la Chiesa condivide la valorizzazione del contributo femminile alla storia dell’umanità, considera “urgente ottenere dappertutto l’effettiva uguaglianza dei diritti della persona” (Lettera alle donne) ed accoglie le istanze positive del neofemminismo «dell’uguaglianza differenziata», ma non può accettare una teoria che per affermare la giusta uguaglianza sociale uomo-donna, distrugge il concetto di famiglia e nega l’identità maschile e femminile.
Raffaella Pinassi Cardinali
La parola ai lettori
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