Generazioni e guerra
Millennials e Gen Z
Roberto ha 21 anni, è italiano e studente di ingegneria. Non ha mai vissuto una guerra. Per lui l’attentato alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 è lontano, qualcosa che non ricorda. Cresciuto in un ambiente dove il conflitto violento non è un’opzione, avverte la guerra come distante. Paradossalmente Roberto non usa molto i social per informarsi. Quando il 24 febbraio 2022 è scoppiata la guerra in Ucraina, l’ha saputo tramite il telegiornale. Continua a seguire gli sviluppi del conflitto in televisione e sulle pagine social dei giornali più noti.
Ha fatto una donazione con la propria famiglia, ma nell’ambiente in cui vive non se ne parla molto. Anzi ammette di non aver mai espresso a qualcuno il suo pensiero con chiarezza. Avverte il dissenso per il conflitto anche tra i suoi amici, ma ne discutono poco. In effetti riconosce quanto parlarne sia importante.
Roberto rimane ottimista, spera che la guerra finisca quanto prima e non si propaghi. Continua la sua vita con la routine di sempre, ma aggiunge: «Non penso che la guerra si espanda, in caso cambierò le mie priorità».
Solo qualche anno fa sognava di andare a combattere: «Ora invece provo tristezza per i miei coetanei e per le famiglie costrette a dividersi. Se fossi stato in Ucraina non avrei voluto lo scontro. Questa situazione mi ha fatto rendere conto ancora di più che non vorrò fare il militare».
Giovani genitori
Antonella è madre di due bambini, ha 38 anni e vive con la sua famiglia in una casa immersa nella natura. Laureata in Scienze della comunicazione, lavora per la Fondazione Giovanni Campaniello, che ha l’obiettivo di costruire un futuro per le persone con spettro autistico. Le prime notizie sulla guerra in Ucraina le ha ascoltate guardando la televisione. Continua ad aggiornarsi tramite i Tg perché pensa siano la fonte più attendibile.
Dopo aver saputo del conflitto, ha aderito a varie campagne per dare il suo contributo con indumenti e generi alimentari, cercando di donare in modo vario, così da andare incontro a quante più esigenze e fasce d’età.
Si è messa in contatto con una mamma ucraina che dall’Italia sta aiutando la sua famiglia rimasta a Kiyv, offrendo un contributo economico. «Sull’onda dell’emotività tutti abbiamo dato una mano», ammette Antonella.
Con la mamma e la sorella ha messo una casa a disposizione di un’altra madre fuggita con due bambine da un paesino vicino Kiyv. Dopo un viaggio di tre giorni con la macchina, tutte e tre sono arrivate a Benevento dalla nonna, che però ha una casa piccola, di sole due stanze, per cui non riusciva ad ospitarle. Sono fuggite dalla guerra solo perché sapevano che comunque avrebbero trovato un tetto in Italia: la casa di Antonella.
All’inizio della guerra, Antonella ha provato emozioni molto forti: si immedesimava in questa mamma che è dovuta fuggire e in tutte le mamme che sono ancora lì. Pensa che ciò che sta succedendo in Ucraina, non lontano da noi, potrebbe coinvolgerci. «È quello che ci ha spinto anche a sostenere questa famiglia. Se dovesse succedere a noi, vorrei che qualcuno aiutasse i miei figli».
Chi di guerre ne sa un po’ di più
Giulio ha 67 anni e ha saputo della guerra in Ucraina seguendo il telegiornale, anche se legge molto anche i giornali online. Ha invece annullato l’iscrizione a Facebook perché non c’è un rapporto personale con gli altri utenti. Visita piuttosto giornali con opinioni diverse, affidandosi a firme di fiducia. Giulio è un membro del Movimento dei focolari da 40 anni, oltre a essere giornalista e padre di famiglia. «Speravo di contribuire a cambiare il mondo in meglio. Questa guerra la sento un po’ come un fallimento della mia generazione, partita con entusiasmo e capacità professionali, che ha (più o meno) mantenuto la pace per 70 anni, ma ora… Ascoltare di violenza e distruzioni, mi provoca grande rabbia e relativo mal di stomaco. Non è possibile che nel 2022 facciamo ancora queste idiozie».
Giulio ha cercato di aumentare la pace e la concordia tra le persone con cui è a contatto, nel suo piccolo. Ha provato anche ad informarsi di più. All’inizio aveva la percezione che la guerra durasse poco, con i giorni però si è reso conto del contrario, provando un vero e proprio shock. Dal punto di vista professionale ha partecipato a confronti e discussioni in redazione sul dare o non dare aiuti all’Ucraina, armi comprese. Ha l’impressione che sia uno scontro come quello tra vax e no-vax: è un tema che divide. Visto che i conflitti portano a divisioni di pensiero nella società, diventano sempre più necessarie le occasioni di confronto, cresce la necessità di dialogo.
La preoccupazione di Giulio è che la tensione causata dalla guerra diventi endemica. In certe parti del mondo c’è sempre stata, ma noi europei potevamo permetterci di vivere serenamente perché sembrava qualcosa di lontano. Teme che ci abituiamo a uno stato di conflitto permanente, passando come ha detto qualcuno da G20 a G8, fino a G0. Il rischio è che si frammentino gli stati e si distrugga l’unità, che la guerra non finisca mai. Lui, da credente, prega e spera.
Voglia di cambiamento
Ognuno nel suo piccolo fa qualcosa per portare pace, spinto da diverse sensibilità e colpito da storie differenti: questo il tratto comune che prescinde dall’età. Si è spinti ad agire a fronte della difficoltà altrui, o comunque a schierarsi contro la guerra e il dolore provocato alle persone, spesso guidati da un meccanismo di immedesimazione.
Interessante è che i media, attraverso quello che viene definito storytelling, raccontano il conflitto a chi non lo vive in prima persona, con una potenza tale da ampliare il “bagaglio esperienziale” delle persone. Si empatizza in un modo talmente forte da condividere il dolore altrui, ma anche le speranze per il futuro, senza escludere la lotta per cambiare se stessi, le altre persone e il mondo.