Generazioni a confronto
Fertility day, transizione demografica, invecchiamento della popolazione: facce di uno stesso fenomeno che trasforma la società in cui viviamo e porta cambiamenti a cui dobbiamo prepararci. Chi è andato a scuola fino alla fine degli anni ’80, ricorderà la famosa “piramide delle età”, un grafico prodotto dall’Istat che rappresentava una fotografia della popolazione italiana, con le varie generazioni compresenti in un dato momento. Se guardiamo i dati del 1901, è facile capire perché il grafico abbia preso il nome di “piramide” delle età.
Alla base c’è una larga parte della popolazione composta da neonati e bambini; man mano che si sale con le classi di età diminuisce la relativa percentuale di popolazione, fino ad arrivare alla punta della piramide dove vediamo una piccola parte composta da persone anziane. In sostanza: molti bambini, un buon numero di giovani, meno adulti e pochi anziani. Questa era la situazione demografica italiana a inizio ’900, ed è ancora la situazione di molti Paesi nel mondo, soprattutto in Africa e Oriente.
Ma come si presenta l’Italia di oggi? Nell’immagine, relativa al 2015, vediamo che una buona parte della popolazione è composta da persone nate tra gli anni ’40 e la fine degli anni ’70 del ’900, cioè chi oggi ha tra 36 e 70 anni. L’attuale piramide delle età ha le sembianze di un rombo: un’Italia con molti adulti, pochi giovani, pochissimi bambini. Di per sé, il fatto che si viva più a lungo è positivo. Vuol dire che le condizioni di vita sono migliori rispetto al passato, per cui viviamo generalmente in un buono stato di salute e la qualità delle cure mediche ci aiuta a superare situazioni che una volta sarebbero state problematiche.
Eppure, a questo positivo innalzamento dell’età media delle persone non corrisponde un proporzionale numero di nuovi nati. Con quali conseguenze? Per esempio che i pochi bambini di oggi dovranno in futuro “occuparsi” di un gran numero di persone anziane. Oppure: i contributi versati da un piccolo numero di lavoratori dovranno pagare molte pensioni. Ancora: innovazione e creatività sono aspetti associati alle fasce più giovani della popolazione, per cui è facile capire che un Paese con pochi giovani sarà meno produttivo e meno competitivo. Ma ci sono anche aspetti culturali, che rendono complessa la convivenza tra generazioni.
Ogni gruppo di persone nate in un particolare momento della storia porta con sé un certo modo di vedere il mondo, che si riflette sul modo di pensare e agire. Insomma, ogni generazione ha la sua cultura. Le persone che oggi hanno almeno 70 anni sono la “generazione della ricostruzione” (così li chiama l’Istat), perché si sono trovati nel dopoguerra in una situazione dove tutto era crollato per i fatti bellici e tutto era da ricostruire. Poi ci sono le generazioni dell’impegno e dell’identità, protagoniste delle grandi battaglie sociali e del desiderio di emancipazione.
Chi è nato negli anni ’70 ha invece vissuto l’epoca della transizione, con la fine delle grandi ideologie e il passaggio al nuovo millennio; si trova oggi ad essere testimone adulto della nuova modernità. I 20-30enni odierni sono la “generazione del millennio”, gli erasmus, quelli dell’Europa senza frontiere. Infine è arrivata la “generazioni delle Reti”, i bambini e i ragazzi che non hanno mai visto il mondo senza Internet e social network, che sono costantemente connessi e tra poco saranno chiamati a costruire il futuro; ma che, come abbiamo visto, rappresentano solo una piccola parte della popolazione.
È importante costruire da subito un rapporto di fiducia nei loro confronti, perché sono i soli a percepire come naturale la complessità del mondo contemporaneo, in quanto usano come strumenti della quotidianità ciò che noi viviamo come innovazione. E anche perché sono i primi a vivere una tale compresenza di diverse culture generazionali. Il rapporto tra generazioni, insomma, non è mai stato complesso come in questo momento, ma proprio per questo non è mai stato così ricco. Approfittiamone.