Generazione e nascita
Dall’epoca della cosiddetta liberazione sessuale, con la diffusione dei contraccettivi e lo stravolgimento dei valori connessi alla sessualità, si è diffusa l’idea che fare l’amore non dovrebbe essere inteso più come un atto teso alla generatività, ma piuttosto come, esclusivamente, uno scambio di piacere tra due persone consenzienti, libere e responsabili.
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Dopo la sessualità svincolata dalla generatività, ora è possibile, grazie all’avanzare delle biotecnologie che hanno compiuto progressi tali da permettere la generazione di esseri umani con sempre minore necessità dell’apporto biologico diretto, che anche la generatività sia svincolata dalla sessualità.
Congelamento degli ovuli e degli spermatozoi, fecondazioni in vitro, tecniche di gestazione mediante GPA (gestazioni per altri), sono solo alcuni esempi delle tecniche che comportano la scissione dell’esperienza umana della nascita della vita in frammenti scomposti.
Frammenti scomposti che si uniscono grazie al desiderio dei singoli, alle capacità tecniche che rendono le pratiche possibili, e all’aggressività espansiva delle aziende che ne ricavano guadagni.
Di fronte a queste enormi possibilità di intervento e manipolazione, è lecito e responsabile porre la questione etica: fin dove l’uomo può spingersi? Queste tecniche permettono interventi a favore o contro l’essere umano?
Partiamo dalle conoscenze scientifiche, genetiche, fisiologiche e psicologiche che riguardano la vita, sin dal suo esordio, per rispondere a queste domande.
Generazione: la costituzione della nostra identità
È noto che il bambino, al momento della nascita, non è una tabula rasa, ma è già capace di riconoscere, in presenza di estranei, l’odore della madre (cf., per esempio, Pause 2011; Cernoch et al. 1985; Doucet et al. 2007) e la sua voce (cf., per esempio, Kisilevsky et al. 2009; DeCasper et al. 1980).
Di fatto, quindi, il bambino, quando nasce, a livello biologico porta già in sé un gran numero di esperienze accumulate dai continui scambi con la madre mediante i canali vascolari e sensoriali.
Tali scambi sono di tale portata da poter parlare di uno sviluppo dell’attaccamento madre-bambino già a livello intrauterino (Cannella 2005).
Ma questi dati sono semplicemente il frutto di dinamiche che capitano ma che potrebbero anche non avvenire senza nessuna conseguenza, oppure hanno un ruolo e una funzione nello sviluppo umano? C’è un motivo funzionale per cui il bambino familiarizza, ancor prima della nascita, con la voce della madre?
Riteniamo che, probabilmente, a livello evolutivo, il legame che s’instaura tra madre e bambino durante la gestazione possa essere ricondotto ad almeno due fattori: il primo fattore è lo sviluppo precoce dell’intersoggettività; il secondo è lo sviluppo, in fase prenatale, di quelle dinamiche dell’attaccamento. Entrambi i fattori potrebbero essere necessari a far sentire il bambino protetto nell’ambiente in cui nascerà. La specie umana, infatti, è tra le più vulnerabili alla nascita e i piccoli umani rimangono dipendenti per più tempo rispetto ai cuccioli animali.
Ricevere cure, attenzioni e sintonia empatica da una persona con la quale si sia già sviluppata una capacità di “riconoscere”, potrebbe essere, quindi, un importante elemento nella costruzione dell’attaccamento infantile.
Questi elementi ci aiutano a riflettere sul fatto che facciamo parte di una storia, generazione dopo generazione.
Normalmente si intende il termine generazione in senso orizzontale, cioè l’insieme di individui nati più o meno nello stesso periodo, il gruppo che svolge insieme le varie tappe della vita: si diventa adolescenti nello stesso periodo, si fa l’ingresso nel mondo del lavoro più o meno negli stessi anni. Si dice, ad esempio, “la generazione x” o la generazione dei Millenials (i cosiddetti “2000”).
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Si può, però, attribuire al termine generazione anche un senso verticale. In tal senso, con il termine generazione dobbiamo intendere l’atto di generare di una madre e di un padre.
Generare: due corpi che si uniscono nell’atto dell’amore, due storie e due vite che s’incontrano e danno vita a un individuo nuovo, irripetibile, ma, allo stesso tempo, ancorato a una storia genealogica.
La madre e il padre non forniscono al neonato solo il materiale biologico che ne compone il corpo, ma gli trasmettono, in qualche modo, la loro storia genealogica, che è anche la sua, e le narrazioni e relazioni che vanno a costituire una parte della sua identità.
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Appare chiaro così che, accanto all’individualità irripetibile di ciascuno, esiste una concreta realtà che permea cellule, molecole, comportamenti e vicende personali: la storia familiare. Tornando alle nostre domande, mi sembra lecito chiedersi ora: tutto questo rappresenta una ricchezza? Se sì, va tutelato?
Da RESTARE UMANI, sette sfide per non rimanere schiacciati dalla tecnologia di Giuliano Guzzo e Marco Scicchitano (Città Nuova, 2018); pp. 144 – prezzo: € 15,00