Gen Verde, nel segno della fraternità
22 artiste da 14 diverse nazioni. Una storia lunga 50anni, consumati girando il mondo per portare un messaggio – o meglio, una testimonianza – di fraternità universale, transculturale, spirituale; in continua sintonia con le speranze e le sofferenze del mondo. Questo è, ed è sempre stato, il Gen Verde: un gruppo multimediale, multietnico, multilinguistico, multiculturale. Ma unico nel suo genere.
Cambiano le line-up, cambiano le canzoni e gli spettacoli, ma l’impatto e le emozioni sono quelle di sempre. Anche in questo nuovo show, apparecchiato sotto la pioggia romana con i loro ingredienti consueti, ma miscelati in un’ennesima nuova ricetta: parole semplici quelle che schizzano dal megascreen: nessuno è straniero per me, guardarsi dentro, io credo nel noi, chi sarà con me quando crollo?, dichiarazioni elementari tra un brano e l’altro, a cominciare da quel “la diversità è un dono” tanto caro a papa Francesco, ospite a sorpresa del pomeriggio, al quale hanno offerto un paio di brani e questo loro ultimo cd.
Il sound si srotola nel solco del pop-rock internazional-popolare, inframmezzato da qualche parentesi etnica e delicate polifonie vocali: canzoni di presa immediata e confezionate con cura. E tuttavia sul palco l’atmosfera, l’impatto, la trama e le coreografie, sono più vicine a quelle di un simil-musical di marca anglo-statunitense che non a un concertone o un recital. Lo prova anche l’assenza delle loro hit storiche: non sono per le minestrine riscaldate, queste fanciulle; preferiscono mettersi in gioco ogni volta. In compenso le nuove canzoni viaggiano da un continente all’altro – dai sotterranei di una metropoli latino-americana ai barconi di profughi del mediterraneo, dalla walk of fame di Hollywood alla foresta amazzonica minacciata dagli scempi ambientali – e nel corso del concerto si sente anche un "Inshallah", ennesima certificazione che la fratellanza, specie di questi tempi, passa anche attraverso la condivisione con altre religioni.
Se è vero che in questi ultimi anni la christian-music planetaria ha raggiunto in molti casi livelli espressivi e formali del tutto paragonabili a quella laica, va pur detto che il progetto Gen Verde ha anticipato da decenni il trend attuale. Ciò che rende queste ragazze diverse da gran parte delle colleghe è il fatto – tutt’altro che irrilevante – che sono tutte delle donne consacrate; anche se a vederle sul palco si muovono – e talvolta ancheggiano – come qualunque popstar. Del resto anche questo loro ultimo show – contenuti a parte, ovviamente – appare del tutto simile a una media produzione del pop contemporaneo: ovvero senza l’iperspettacolarità dei megashow milionari, ma anche ben più strutturato dei minimalismi ora grezzi ed istintivi, ora criptici, delle band stradaiole. Uno spettacolo a tratti scolastico, a tratti commuovente, perché in fondo così è quel che chiede il mondo che raccontano e che vogliono continuare a incontrare.
Le ragazze del Gen Verde cantano della possibilità di costruire un mondo migliore di quello che abbiamo sotto gli occhi perché ci credono sul serio e si son giocate la vita per renderlo possibile. E senza garanzie di sorta: nessuna di loro ha un futuro garantito e in qualunque momento può ritrovarsi a fare tutt’altro chissà dove. Epperò credono in quello che cantano e cantano quello in cui credono, mettendoci la faccia oltreché la voce.
Sono appena tornate da un lungo tour in Asia (Taiwan, Hong Kong e Macao), prossima tappa il 16 maggio a Cosenza. 50 anni di carriera a dicembre, tra il supremo diniego dei mercati; così continuano a galleggiare fra i marosi dello show-business con quello spirito autarchico e quel femminismo anomalo che ha sempre costituito un altro tratto distintivo della loro carriera. Loro continuano a tirar dritto, preoccupate solo di essere quel che cantano. E come si fa a non amarle?