Gen Rosso & Gen Verde. i loro primi quarant’anni

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Dicembre 1966. I Beatles erano alle prese con un futuro capolavoro chiamato Sergent Pepper, gli Stones si godevano la fama di Satisfaction. Truman Capote pubblicava l’agghiacciante A sangue freddo, e Garcia Marquez l’altrettanto epocale Cent’anni di solitudine. Intanto in Vietnam si continuava a morire, Che Guevara predicava e praticava la sua rivoluzione guerrigliera, e il mondo giovanile s’andava compattando anche grazie alla musica e ai suoi nuovi eroi costruendo i presupposti per quella che da lì a poco sarebbe diventata la sua stagione più ruggente, e romantica. È in questo contesto che nascono i complessi internazionali Gen Rosso e Gen Verde: nella cittadella internazionale di Loppiano, a due passi da quella Firenze ancora sotto lo choc dell’alluvione. Il pittoresco incipit (le due batterie dei rispettivi colori che Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei focolari, scelse come regalo di Natale di quell’anno) appare oggi, più che un pretesto, un piccolo segno profetico e un’intuizione geniale. Perché quarant’anni dopo i due gruppi non solo sono ancora in piena attività, ma hanno aperto strade che molti hanno poi seguito; hanno costruito ponti che molti hanno potuto attraversare; hanno dato voce a sogni che molti ancora oggi provano a realizzare. Probabilmente il Gen Rosso e il Gen Verde sono oggi i gruppi più noti del mondo nell’ambito della musica moderna ispirata ai valori cristiani. Al di là della leziosità della definizione, dei precursori assoluti e dei caposcuola. E per diversi motivi, che vale la pena sintetizzare al di là dell’affetto pluridecennale che a loro ci lega. Innanzi tutto la multiculturalità. Concetto quasi ovvio in tempi di world-music e globalizzazione come questi, ma assolutamente innovativo per un’epoca, dove ciò che non aveva il marchio dell’Occidente finiva nelle nicchie inaccessibili degli antropologi e degli etnologi. E invece fin dai loro pri- mi organici ecco delle band realmente internazionali e interrazziali, composte da giovani artisti provenienti dai più diversi contesti culturali, geografici e sociologici. Poi la capacità di divulgazione di valori antichi (o meglio, sempiterni) con mezzi moderni. All’epoca era impensabile portare in un teatro ciò che si cantava davanti ad un altare, e tanto meno suonare in chiesa (ovviamente con le debite precauzioni formali) ciò che si suonava in un teatro o che s’ascoltava in una radio. Le due band seppero ad un tempo (e forse senza neppure rendersene ben conto) sdoganare la musica giovanile presso il popolo ecclesiale, e la canzone d’ispirazione religiosa presso una bella porzione di mondo giovanile. Una piccola rivoluzione, pure questa. Anche se i testi delle loro prime canzoni suonano oggi teneramente ingenue (come del resto quelli di quasi tutte quelle dell’era beat), sapevano parlare di cose alte con parole semplici; rime che avevano dentro il Dna del mondo nuovo che brillava negli occhi dei giovani degli anni Sessanta. Gen: non a caso acronimo di Generazione nuova. Soprattutto, vera scanda- losa eccezione nel capriccioso mondo del music-business, ogni aspetto della loro quotidianità risultava coerente con la loro essenza artistica e professionale: cantando quel che si viveva, e vivendo quel che si cantava. Con tutto il coraggio di chi vuol provare ad abbattere sul serio gli steccati tra arte e vita. E di pagarne il prezzo. Ma l’intuizione di Chiara si spingeva anche più in là. Fino allo spericolato azzardo di pensare due progetti distinti, dando identica dignità, valore, e responsabilità, ad un gruppo composto – e gestito! – da sole donne: in un ambiente come quello musicale che ancora oggi non è riuscito a scrollarsi di dosso le ultime scorie di maschilismo, una rivoluzione copernicana. Stessa anima dunque, ma incarnata in due diversi temperamenti e modalità espressive. Allora come oggi. Anche se Valerio Ciprì e Paola Stradi – una vita passata con i rispettivi gruppi – sembrano parlare all’unisono: Sono stati quarant’anni di fedeltà all’impegno preso all’inizio: dare un seme di speranza per un mondo di concordia e armonia fra i popoli, con un attenzione particolare agli ultimi: carcerati, profughi, anziani, ammalati, emarginati… Siamo sereni perché sentiamo di poter dire di non aver mai ceduto a compromessi e di aver salvaguardato la purezza del messaggio di pace e di unità che volevamo far arrivare a tutti. E in questi anni ne sono successe di cose. Dai primi concerti nei teatrini di provincia, ai palasport di tutto il mondo, dalle prime timide canzoncine, ai musical più recenti. Decine di dischi, centinaia di canzoni, in quasi tutte le lingue del mondo. E le loro strade si sono spesso incrociate, in occasione di grandi eventi (davanti a tre diversi papi, tanto per dire) o per comporre insieme. Il Gen Rosso e il Gen Verde hanno fatto scuola e generato figli finanche negli angoli più sperduti del mondo. Al punto che spesso mi sorge il sospetto che il loro futuro possa avere il proprio baricentro in questa loro straordinaria vocazione di catalizzare le energie positive e i valori che troppo spesso il musicbusiness mortifica per impraticabilità di campo o mancanza d’occasioni: chiunque ci abbia giocato in questi anni, siano essi Noa o Antonella Ruggiero, un regista come Leandro Castellani, un’étoile come Marinel Stefanescu, o un affabulatore come Guccini, sanno che l’esperienza è di quelle che restano appiccicate al cuore d’un ar- tista, e talvolta lo segnano per sempre.Mica male per due gruppi che ancora oggi sudano e respirano le polveri dei palchi nel segno di un’autogestione insieme cocciuta e benemerita, orgogliosa e umilissima. Ma non vorrei scadere nell’agiografia. Meglio limitarsi agli auguri, tanto più doverosi per la consistenza degli anni e delle battaglie affrontate. E al di là del più ovvio dei cento di questi giorni, vorrei sperare per loro – per ciascuna e ciascuno che in questi anni hanno condiviso almeno una parte del percorso – di poter continuare ad essere la incarnazione di ciò che cantano da quarant’anni. Sono gli stessi auguri che Chiara fece loro qualche tempo fa: Che musica, luci, colori del vostro spettacolo presentino l’ideale dell’unità vero, puro, genuino, senza compromessi, con la forza che viene dalla testimonianza della vostra vita. Certo non i coriandoli dello star-system, e neppure gli applausi del pubblico pagante, ma piuttosto gli abbracci e la fratellanza di chi come loro s’arrabatta, soffre, spera, crede, e continuerà a crederci. BUON COMPLEANNO! Se il Gen Rosso ha scelto di festeggiare in anticipo il proprio quarantennale (con l’album Zenith del quale ci siamo già occupati qualche mese fa), il Gen Verde ha scelto di rispettare i tempi, dando alle stampe proprio in questi giorni due opere molto diverse fra loro, ma che ben rappresentano il duplice sentiero espressivo del gruppo. Il dvd La coperta del mondo è la sintesi del loro recente omonimo spettacolo, che in parte è una sorta di sequel e di complemento del precedente Prime pagine: di fatto un sorvolo in forma multimediale (musica, canzoni, danze, proiezioni video e coreografie) sulla storia e lo sviluppo del Movimento del focolari e i suoi principali artefici. Una dozzina di frammenti audio-video (più due bonus- track) che ben sintetizzano uno show che sta a mezza via tra il musical e la pièce teatrale, che il gruppo sta continuando a portare in tour sia in Italia che all’estero. L’altra novità è il cd che raccoglie le varie parti della Messa della concordia, una splendida raccolta di brani liturgici (di fatto una vera e propria messa cantata, scritta con la collaborazione del celebre compositore e teologo PierAngelo Sequeri) che non è difficile immaginare andranno anche ad arricchire il repertorio di tanti gruppi parrocchiali (come del resto è tradizione da decenni…); ma che al di là della loro funzionalità ecclesiale, i brani mostrano la leggiadra raffinatezza di uno stile che è da anni un punto di riferimento assoluto, sia per la freschezza delle melodie che per la preziosità delle armonizzazioni vocali. Un anno di lavoro per provare a intonare la fraternità (la definizione è di Sequeri), in un’opera che dichiara fin dal titolo il suo fine: tanto più urgente in un’epoca così travagliata da tensioni di ogni tipo. Inutile aggiungere che la presenza in alcune parti vocali e autorali del Gen Rosso conferma quanto queste due realtà continuino ad essere affratellate anche al di là dell’ideale che li guida, pur nel rispetto delle rispettive peculiarità. Forse il Gen Verde, così come il Gen Rosso, non lasceranno tracce indelebili sul panorama del pop contemporaneo, ma non c’è dubbio che almeno nella specificità di quest’ambito espressivo vantino classe e sapienza creativa di valore universalmente riconosciuto. E questo album, concepito non a caso a suggello del quarantennale, ne è l’ennesima dimostrazione.

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