Gela: anatomia di una crisi

Gela: profondo sud di un’isola ricca di contraddizioni. Un tempo “granaio di Roma”, oggi è alle prese con mille difficoltà. E vive il dramma di chi, alla fine degli anni ’60, ha accarezzato il sogno di sostituire quell’agricoltura povera e senza risorse, con la grande industria. Nacque così una delle tante “cattedrali nel deserto”, il polo petrolchimico, che a Gela ha portato soldi e sviluppo, ma ha anche posto le basi per una discrasia sociale sempre più vasta. Il quartiere residenziale di Macchitella, destinato ai dipendenti dell’Anic, guardava dall’alto una città che cresceva a dismisura, con enormi quartieri satelliti, tutti “regolarmente” abusivi. Nella terra della disoccupazione il petrolchimico ha portato soldi e lavoro. Speranza di benessere duraturo. Nessuno sembrava accorgersi delle ciminiere che inquinavano, del mare nero, dei cattivi odori che impregnavano l’aria. Gela cresceva, e con essa i suoi problemi. Quarant’anni dopo la realtà è cambiata. Il petrolchimico inquina meno, perché alcuni impianti sono stati adeguati. Ma la sensibilità ambientale è aumentata, oggi sono in tanti a guardare con angoscia quelle ciminiere che fumano. Fino a quando, in un giorno di febbraio, è arrivato un provvedimento della magistratura, che ha posto sotto sequestro alcuni impianti della raffineria Agip che utilizzano come combustibile il pet-coke, uno scarto di lavorazione derivato dal greggio che viene usato come combustibile. Contravverrebbe alle norme del “decreto Ronchi”, che in Italia regola la materia ambientale. Per la città è come un risveglio improvviso. In precedenza il problema dell’inquinamento degli impianti si era posto più volte. Mai come in questa occasione, però, ci si è resi conto che la situazione è a rischio. La cronaca di quei giorni è convulsa. La città è scesa in piazza per una prima manifestazione di protesta. Al fianco dei lavoratori del petrolchimico (circa 2000), ci sono anche quelli dell’indotto, delle tante aziende legate al Petrolchimico, gli autotrasportatori: almeno altre 1000 persone che dall'”oro nero” estratto nella zona di Gela hanno tratto sostentamento in questi ultimi decenni. L’Agip contesta il provvedimento, afferma che il coke è da considerare un combustibile, così come avviene in altri paesi d’Europa, presenta ricorso. Respinto. La città rischia di crollare. Nei primi giorni di marzo la crisi si fa più acuta. I lavoratori bloccano l’accesso alla città, protestano contro lo “scippo” del petrolchimico. Per tre giorni, Gela rimane isolata, migliaia di operai presidiano gli ingressi per impedire a chiunque di entrare. La situazione si fa incandescente. Il sette marzo è il giorno del secondo sciopero generale. In piazza ci sono proprio tutti, i negozi sono chiusi, gli uffici sono bloccati. Si attende un provvedimento delgoverno che inserisca il pet-coke tra i combustibili come avviene in altri paesi europei. Il decreto, presentato dal ministro dell’Ambiente Altero Matteoli, viene approvato dal consiglio dei ministri lo stesso 7 marzo. Il pet-coke, definito combustibile, viene tolto dalla lista dei prodotti di scarto della lavorazione. Due giorni dopo arriva il dissequestro. Parziale. La Procura decide che il coke si può usare, ma solo per le linee di lavorazioneinterne alla raffineria. Nulla da fare, invece, per gli altri impianti. La Nuova Polimeri Europa, che produce la materia prima per l’industria della plastica, e l’Enichem (settore chimico) non potranno usufruire dell’energia fornita dalla centrale di Agip Petroli. Anche la cessione di energia all’Enel dovrà cessare. Un danno economico di un miliardo al giorno, che l’azienda difficilmente potrà ammortizzare. E le conseguenze, sul piano occupazionale, potrebbero essere gravissime se alcuni impianti fossero costretti a fermarsi. Questa volta, a bloccare l’utilizzo del coke (almeno per i processi esterni alla raffinazione), sarebbe il limite imposto dalla legge, che fissa nel 3 per cento il tetto massimo di emissione di zolfo nell’atmosfera. E il coke di Gela supera tale limite. Gli operai tornano in fabbrica, ma resta l’incognita per il futuro. Sono in tanti a chiedersi cosa accadrà. La vicenda innescata dalla magistratura non è l’unico nodo di un polo che, sempre più, negli ultimi anni, ha subito una parziale dismissione. Hanno già chiuso gli impianti dei fertilizzanti, del clorosoda, del decloretano, degli aromatici, dell’ossido di etilene. Molti posti di lavoro sono andati perduti. Anche la salute viene definita a rischio. C’è chi sbandiera i dati forniti dall’Oms sull’incidenza dei tumori nella zona, che sarebbe più alta rispetto al resto dell’isola. Ma si tratta di dati non univoci e nessuno vuole credere che l’alto tasso di tumori sia dovuto al Petrolchimico. “La fabbrica non inquina più come in passato – spiega Raffaele Giocolano, del direttivo provinciale della Femca-Cisl -; in questi anni sono stati attuati una serie di interventi e oggi l’emissione di scarichi nell’atmosfera è al di sotto dei limiti consentiti dalla legge. È stato realizzato l’impianto di Snox, una sorta di marmitta catalitica per gli impianti industriali. Le navi petroliere vengono ripulite nel porto. Non ci sono più le macchie nere di catrame. Il mare è tornato pescoso” Dello stesso avviso, anche Emanuele Scicolone, segretario territoriale della Cgil. “La situazione di oggi non è eguale a quella degli anni Settanta. Da 25 anni, la coscienza ambientale è cresciuta, sia nella città che nel sindacato. Abbiamo chiesto ed ottenuto delle innovazioni. Oggi lo stabilimento è dentro la norma e, se non lo fosse, bisogna intervenire perché lo sia. Ma i posti di lavoro devono essere difesi”. La vertenza Gela si sposta, ora, inevitabilmente, fuori dal livello locale. Interpella direttamente il governo nazionale, chiede certezze ai vertici aziendali che finora non hanno mai chiarito quale potrà essere il futuro di Gela: “Nel piano nazionale delle raffinerie l’Agip ha un esubero di uno stabilimento – spiega Silvio Ruggeri, segretario provinciale Uilcem -. Non vorremmo che la scelta cadesse su Gela. Hanno dipinto la città come “brutta, sporca e cattiva”. Non è corretto. Per noi, l’utilizzo del greggio ha un alto valore aggiunto, in positivo. Dal catrame, dal greggio pesante estratto qui, noi deriviamo carburanti nobili. E quel tipo di greggio, per ora, può essere trattato solo negli impianti di Gela”. Anche le preoccupazioni di tipo sanitario, secondo Ruggeri, possono essere superate: “Gli interventi effettuati in questi anni hanno dimostrato che la fabbrica può convivere con l’ambiente”. Ma Gela non può fermarsi al petrolchimico. Sa che la favola potrebbe finire, prima o poi, se le politiche aziendali di Enichem ed Agip dovessero mutare. “Il futuro di Gela deve essere affidato ad uno sviluppo multisettoriale – spiega Scicolone -. Lo sviluppo industriale ha creato anche sottosviluppo: degrado sociale, problemi occupazionali. Oggi puntiamo su uno sviluppo integrato, che comprenda anche agricoltura, terziario e turismo. Negli ultimi anni sono stati avviati gli strumenti di programmazione negoziata. Il “contratto d’area”, il “patto del Golfo”, il patto per l’agricoltura, dovrebbero portare a Gela quasi 1000 miliardi”. “Con i contratti d’area abbiamo pensato al futuro dei nostri figli – aggiunge Giocolano -. Sappiamo che la fabbrica non è tutto e dobbiamo creare le condizioni perché la città continui a crescere”. Salvatore Morinello è deputato regionale dei Comunisti Italiani. Nella passata legislatura ha ricoperto anche l’incarico di assessore ai Beni Culturali. “Le vicende di questi giorni hanno rese emblematiche una serie di questioni che erano latenti. La presenza di un’industria ad alto impatto ambientale e l’ambiente attorno a cui essa gravita. Le questioni giuridiche sono servite a riportare a galla i problemi reali. Paradossalmente,dovremmo essere grati ai magistrati, che hanno messo il dito sulla piaga. Qui servono investimenti per centinaia di miliardi per eliminare tutti i residui dannosi. Ma bisogna pensare ad una politica di rilancio, per Gela, così come per Priolo-Siracusa: ottimizzare gli impianti e renderli eco-compatibili”. Anche la chiesa siciliana ha espresso solidarietà ai lavoratori della raffineria: “Condividiamo l’ansia per l’eventuale perdita del posto di lavoro che getterebbe sul lastrico molte famiglie – si legge in un documento dell’Ufficio regionale problemi sociali e lavoro, della Conferenza Episcopale siciliana -. Non tocca a noi entrare nel merito delle questioni giuridiche, ma è necessario avere a cuore il problema occupazionale, per non aggiungere povertà a povertà. Bisogna liberare Gela da questa grave ipoteca che pesa sul futuro dei suoi cittadini”. Ma cosa resta dopo i giorni della tensione? Come vive la città questi giorni terribili, che potrebbero segnare una svolta epocale nel proprio cammino? C’è preoccupazione, ma anche ottimismo, nelle parole di Giusi Li Vecchi, giovane avvocato civilista: “La città ed i cittadini hanno la forza e la determinazione per affrontare i problemi. Questa esperienza ha maturato in tutti la consapevolezza che, nella misura in cui si riesce a “condividere” un problema, si possono ottenere dei risultati. E i due scioperi lo hanno dimostrato. La città è stata compatta, come non era mai stata, neanche nel periodo delle grandi mobilitazioni contro la mafia. In piazza non c’erano solo i lavoratori del petrolchimico, ma tutti. Sì, qualcosa è cambiato: finora si era pensato che fosse sufficiente affidarsi alla progettualità di alcuni gruppi istituzionalizzati. Oggi si scopre che la città stessa può essere interlocutore e protagonista del suo sviluppo futuro”. Non solo petrolchimico Fondata nel 689 a. C. da una colonia formata da Rodii e Cretesi, Gela prese il nome dal fiume che vi scorreva vicino. Venne rasa al suolo dai cartaginesi nel 405 a. C. e depredata di tutti i suoi tesori. Sotto i romani, di Gela, esisteva ancora un piccolo nucleo. Ne parlano infatti Virgilio, Cicerone, Plinio. Successivamente vi si stabilirono i bizantini e poi gli arabi. Nel 1230 Federico II di Svevia avviò la ricostruzione della città che chiamò Terranova. Fu solo nel 1927, dopo alternevicende, che essa tornò a chiamarsi Gela. Ricca di storia Gela offre al visitatore interessanti spunti archeologici e artistici. Templi e santuari dell’età ellenica, colonne di tempio dorico del V secolo a. C., resti di un tempio dedicato ad Atena, abitazioni, botteghe e bagni pubblici del 405 a. C., fortificazioni greche. E poi chiese antiche che spesso custodiscono quadri di rilievo. Tra le ricorrenze ricordiamo le rappresentazioni di tragedie greche nella zona archeologica di Capo Soprano.

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