Gaza e le sfide della tregua permanente
Innanzi tutto serve partire dai numeri: sette settimane (un tempo apocalittico) di guerra vera e di instabili cessate il fuoco (tutti e undici violati da Hamas); ci sono voluti 4450 razzi sparati dalla Striscia e 5526 bombe sganciate dai caccia di Gerusalemme; ci sono stati 2216 palestinesi uccisi ,di cui oltre cinquecento bambini; gli israeliani piangono settanta uccisi e curano oltre undicimila feriti.
I numeri però non bastano nel parlare di storie di dolore infinito, di vicende di bimbi e di adulti travolti da una sofferenza e da una tragedia senza fine, di una seminagione di odio di misura incalcolabile. Ci vorranno decenni per risanare questa immensa ferita, che in primissimo luogo ha toccato i piccoli, le donne, gli anziani, i giovani.
Tutto questo con il rischio che alla fine del primo mese di tregua ci si rincontri di nuovo per ricominciare tragicamente da capo. La terza guerra di Gaza è stata la più lunga fino ad oggi: ma non era forse più coraggioso seguire la strada indicata dal papa a Peres ed ad Abu Mazen e cioè quella del dialogo?
E alla fine si arriva a questa tregua permanente, perché con motivazioni diverse, con interessi diversi, solo ad un certo punto si è scelto di scommettere sul dialogo, con molti limiti, con molte contraddizioni, ma alla fine senza questa opzione oggi non ci sarebbe la tregua.
Ci si domanda in linguaggio militare se questa tregua abbia dei vincitori e dei vinti. L’entusiasmo di Gaza potrebbe far dire che ha vinto Hamas perché ha resistito e Israele non ha sfondato. Dunque Hamas ha una forza militare che può tenere sotto scacco il governo israeliano.
Il governo israeliano, da parte sua, può mettere sul tappeto azioni militari importanti: la distruzione di molte gallerie di collegamento sotterranee, la possibilità di dare fiato ad un’azione di guerra rassicurante, anche se inconcludente. Vedremo se dopo queste prove di forza, soprattutto la smilitarizzazione di Gaza, vero nodo delicato, inizierà una volta per tutte.
Gli americani possono essere felici del nuovo ruolo dell’Egitto, senza il quale tutta la trattativa per la tregua on ci sarebbe stata, ma l’amministrazione Usa ha mostrato molte incertezze e ambiguità. E molti dei viaggi del Segretario di stato si sono di fatto rivelati inutili. L’Europa mostra tutta la sua fragilità, perché nel momento in cui ha posto sanzioni alla Russia per la tragedia ucraina non è stata capace di porre condizioni altrettanto dure al governo israeliano. Le Nazioni Unite non sono state in grado di esprimere un testo di condanna, con le conseguenze relative, soprattutto per la tragedia umanitaria che ha travolto la Striscia. E infine neppure il commercio di armi è diminuito.
Se è vero che ogni accordo prevede sempre qualche rinuncia e qualche vantaggio, chi davvero ha vinto a Gaza sono i bambini. Essi con il loro dolore e i loro volti stremati e impauriti, inquadrati da tv e agenzie fotografiche, sono stati la denuncia pubblica e solenne di questa inutile guerra. Essi hanno detto con la loro vita distrutta che la via delle armi era ed è impraticabile e intollerabile. Sono loro che hanno imposto la tregua, non i generali o i miliziani.
I bambini che hanno costretto i potenti a fare la pace e la tregua oggi, in cambio del loro agire per la pace chiedono una grande operazione di solidarietà internazionale, per sanare le ferite, che hanno toccato il loro corpo e la loro psiche.
Dobbiamo dare di nuovo restituirgli le ali per volare a questi piccoli violati da droni, da caccia, da carri armati. E’ necessario farli uscire da Gaza per essere curati là, dove è possibile rendergli al meglio e gratuitamente una possibilità di vita. E’ un dovere di tutti da Israele all’ANP e lo è anche per Europa e Italia e quindi anche nostro: un dovere etico e politico perché possiamo essere maestri della pace nel Mediterraneo.
Altri hanno seguito cattive teologie, ciascuno ha giustificato le sue armi, in nome del diritto alla difesa o alla resistenza, con armamentari ideologici che non esistono più, ma che tornano sempre utili quando si percorrono i circuiti della violenza.
La guerra è anche il tempo della menzogna. Si è detto per anni che non si doveva trattare con Hamas e poi lo si è fatto in modo larghissimo, altrimenti non saremmo alla tregua di oggi. Altri hanno chiesto il dialogo con Hamas, ma non accettano quello con Israele. Quasi che il dialogo vada fatto solo con gli amici e non con i nemici. La verità sta nelle vittime non nelle ideologie.
Tutto è partito dal sequestro e dalla uccisione di tre ragazzi israeliani e di un ragazzo palestinesi. In un attimo le fiamme della guerra hanno bruciato la vita. Ed è dalla vita che bisogna ripartire: dal dolore dei bimbi di Gaza, dai loro corpi feriti e dai loro cuori spezzati che domandano semplicemente la cura e la pace. Quelle che noi cerchiamo con grande fatica e non troviamo. Ecco il coraggio della pace che gli uomini della preghiera dell’8 giugno (papa Francesco, il patriarca Bartolomeo, il presidente Abu Mazen e il presidente Peres) che consegnano a noi come eredità.
Poi c’è anche una scelta politica da compiere: è giunto il tempo di una forza di interposizione internazionale a Gaza, richiesta da tutti gli attori presenti sulla scena per smilitarizzare la Striscia e riprendere con pazienza e ostinatamente il sentiero di Isaia.