Al teatro Quirino di Roma, fino al 17 aprile. Intervista a Gassman, regista di questa dura opera di Reinaldo Povod
Sono già trascorsi cinque anni dal debutto nella regia di Alessandro Gassman con La forza dell’abitudine di Thomas Bernhard. Quello spettacolo, difficile e impegnativo, gli servì come trampolino di lancio per la nuova fase di promettente regista. Sono seguite due stagioni ricche di successi e riconoscimenti con La parola ai giurati di Reginald Rose. Ci riprova ancora, il bravo Gassman scegliendo un altro testo contemporaneo: Roman e il suo cucciolo (Cuba & his Teddy Bear) del portoricano, ma cresciuto a Manhattan, Reinaldo Povod, morto prematuramente a trentaquattro anni.
E mette a segno un altro successo. Messo in scena negli anni ’80 il testo ottenne un grande successo a New York con protagonista Robert De Niro. «Un testo – afferma Gassman – che mi ha coinvolto fin dalla prima lettura per l’umanità dei suoi personaggi, per uno stile di scrittura tagliente, crudo, profondo, che mai indulge al sentimentalismo». La scena iperrealistica di Gianluca Amodio colloca la storia in due ambienti: una casa-rifugio a due piani, ai margini di un’autostrada, per una visione simultanea di interno ed esterno degradato. Davanti, un enorme velario per proiezioni di macchine in corsa, ma anche per cieli stellati e nuvole. «Con Edoardo Erba, traduttore e adattatore del testo, abbiamo deciso di ambientare la vicenda in una periferia urbana del nostro Paese, all’interno di una comunità romena, dove confluiscono personaggi di altra radice etnica».
Operazione che non tradisce il testo originale americano che fa, appunto, coesistere personaggi di diverse razze, culture, religioni…
«È un dramma familiare e al tempo stesso sociale, un attualissimo sguardo sul presente che è anche un preciso richiamo ad uno dei fenomeni che negli ultimi tempi più ci coinvolgono: la presenza degli immigrati nella nostra vita, presenza che ha trasformato la fisionomia delle nostre città ed ha intaccato il tessuto delle nostre relazioni. Uno sguardo neutrale, non ideologico, fuori dagli schemi del razzismo o della solidarietà di maniera».
Su cosa si basa la prorompente forza drammatica dell’opera?
«Si basa sul rapporto irrisolto fra un padre semianalfabeta, spacciatore di droga, nevrotico, che alterna momenti di dolcezza a esplosioni di rabbia e un figlio adolescente (il “cucciolo” del titolo, ndr.) apparentemente schiacciato dall’autorità paterna, che vuole emanciparsi attraverso lo studio, ma che nasconde al padre le sue illusorie prospettive di vita e la progressiva dipendenza dall’eroina».
Ma altri personaggi ruotano attorno ai due protagonisti…
«Un maldestro socio in affari del padre, un intellettuale tossicodipendente, un altro spacciatore e la sua giovane prostituta sono gli altri personaggi che ruotano intorno alla drammatica vicenda umana di un uomo disposto a tutto pur di far soldi, per garantire al figlio un futuro diverso dal suo, e di un ragazzo consapevole del fatto che il padre potrà, a suo modo, amarlo ma non riuscirà mai a capirlo».
Un rapporto toccante, crudo, a tratti sconvolgente…
«…Che troverà compimento solo attraverso un fatale, catartico epilogo. È però anche una storia di disperazione e degrado che, attraverso il drammatico destino di un’umanità condannata all’emarginazione, rimanda a problematiche sociali di grande attualità. Una delle sfide più difficili del terzo millennio sarà quella di imparare a vivere in una società unita nella pluralità, ponendo come base quanto ci è comune: la nostra umanità».
Roman e il suo cucciolo, con Manrico Gammarota, Sergio Meogrossi, Giovanni Anzaldo, Matteo Taranto, Natalia Lungu, Andrea Paolotti. Scene Gianluca Amodio, costumi Helga H. Williams, musiche originali Pivio&Aldo De Scalzi, light designer Marco Calmieri.