Gassman: 100 anni da mattatore
Uno dei tanti doni di cui ringrazio Dio è di avermi fatto crescere con i 5 “colonnelli del cinema italiano”, come chiamavano Sordi, Manfredi, Tognazzi, Gassman e Mastroianni, che con la loro arte-simpatia-umanità mi hanno dato un bell’aiuto a portare il fardello dell’esistenza.
Dei primi tre abbiamo ricordato recentemente i 100 anni dalla nascita. Il quinto, il Marcello nazionale, per la stessa ragione lo ricorderemo nel ’24. Di Vittorio Gassman il centenario è adesso, essendo nato a Genova il 1° settembre 1922. Difatti molto opportunamente è lì che, dopo un “primo tempo” all’Auditorium di Roma, è stata trasferita la spettacolare mostra sul grande attore curata dal figlio Alessandro, dalla vedova Diletta D’Andrea e da Alessandro Nicosia.
Dove troneggia su tutto – scene, costumi, foto, filmati, oggetti, cimeli e quant’altro, testimoni di oltre mezzo secolo di carriera – la bianca, mitica Lancia Aurelia B246 de Il sorpasso, con il parafango finalmente riverniciato! Al suo volante il fanfarone Bruno con al fianco il timido Roberto (Jean-Louis Trintignant) continua a tagliare da 60 anni l’ambito e meritato traguardo dell’immortalità.
A Genova c’è stato poco il piccolo Vittorio. Il papà tedesco, di Karlsrhue, Heinrich Gassmann (l’attore si toglierà l’ultima enne), era ingegnere edile e la moglie e madre di Vittorio, la pisana Luisa Ambron, di religione ebraica, lo seguì col figlio per il suo lavoro prima in Calabria e poi, definitivamente, a Roma.
Vittorio aveva 5 anni e nella Città Eterna è cresciuto come persona, come intellettuale e come artista. Roma gli ha dato tutto, e a Roma egli ha dato il meglio. È stato, fra i tanti, un “prodotto” della Roma del dopoguerra e del secondo ‘900, qui ha riscosso successo e celebrato trionfi (anche altrove sì, e lo vedremo, ma soprattutto fra i 7 Colli), in tutti i maggiori teatri – Eliseo, Valle, Argentina, Quirino oggi intitolato a lui… –, negli studi radiotelevisivi di Rai, Mediaset ecc. e a Cinecittà.
Lui aborriva recitare in romanesco, però quando copione e regista glielo imponevano lo faceva eccome, e alla perfezione, tutti se lo ricordano, come del resto sapeva esprimersi in tutti i dialetti. Un caso per tutti, il milanese Giovanni Busacca della Grande guerra, dove il coprotagonista Sordi-Jacovacci era il romano di turno.
Percorso lineare, e romano appunto, quello di Gassman in formazione. Prima il liceo classico Torquato Tasso, dove nei ’50 iscriverà pure la primogenita, Paola (io facevo il I liceo e lei il II, sezione E, nell’aula accanto), e dopo la maturità gli bastarono pochi passi da Porta Collina a Porta Pia per entrare all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”. Aveva scoperto la sua vocazione, recitare.
Ma siccome ne aveva anche altre, tipo la cultura alta, classica, che avrebbe amato e coltivato sempre, determinante fu l’incoraggiamento della madre, poetessa e scrittrice per diletto, a rompere ogni indugio e a orientarsi decisamente verso il palcoscenico. Scelta che lo portò a ignorare la sua terza spiccata vocazione, allo sport, in particolare al basket, dove fu un campioncino presto di casa nel giro della serie A. Ma per poco, le Muse lo chiamavano.
Però in tante performances di Gassman negli anni, a teatro e sugli schermi di cinema e tv, il pubblico ha potuto ammirare la sua incontestabile robustezza e atleticità, oltre alla sua statura di m. 1,87, superata dal figlio Alessandro di 5 centimetri!
Sono queste le caratteristiche, anzitutto fisiche ma non solo, con la natura e la formazione dell’uomo, a fare di Gassman si può dire dall’esordio un attore esuberante e addirittura debordante, un personaggio più che un mero interprete, un artista di prosa e di spettacolo che senza altre doti come l’intelligenza, la cultura e la sensibilità sarebbe stato più danneggiato che favorito dalla sua ipermobilità e ipervivacità.
Invece il cocktail di arte ed energia, cultura e vitalismo che era la sua cifra lo impose subito al pubblico prima teatrale, molto presto cinematografico e dopo qualche anno pure televisivo. Su tutti i fronti il lavoro gassmaniano è così sterminato, e di tanto pregio artistico, che chi ne scrive non può non fare fatica e provare imbarazzo. Vediamo di raccapezzarci.
In teatro, dopo il debutto nel ’44, non si contano in 5 decenni i grandi successi, da uno storico Amleto, nel ’54, personaggio suo come nessun altro, a Kean. Genio e sregolatezza, nello stesso anno, di Alessandro Dumas, figura a cui somigliava senza identificarvisi, diceva; dal famoso Otello del ’56, dove con Salvo Randone si scambiavano i ruoli di Otello e Jago di sera in sera, al poderoso Ulisse e la balena bianca, adattato da Mellville e messo in scena nel Porto Antico di Genova nel centenario colombiano, 1992, ultima prova dell’attore drammatico, dove fra l’altro passò idealmente il testimone ad Alessandro, che lì recita con lui.
Nel cinema interpretò quasi 200 film, per lo più di successo pure all’estero. All’inizio ricopriva ruoli di cattivo, come in Riso amaro di Giuseppe De Santis, del ’49, o di eroe medievale o rinascimentale, come il Leone di Amalfi, di Pietro Francisci, del ’50. Parti popolari che non amava. Finché fu la svolta, quando lavorò con tre fra i massimi registi italiani degli anni 50-90, Mario Monicelli, Dino Risi ed Ettore Scola, dei quali fu amico tutta la vita.
Così si scoprì il Gassman comico, nei Soliti ignoti e nella Grande Guerra, ambedue di Monicelli, ’58 e ’59. E di Risi possiamo ricordare due capolavori come Il sorpasso, del ’62, e Profumo di donna, del ’74, di cui perfino Al Pacino tentò il remake! Scola infine diresse Gassman in C’eravamo tanto amati, ’74, e La terrazza, ’79.
E la tv? Anche lì interventi a decine, sempre da protagonista, in show del sabato sera o nella lettura di poesie e altri testi, mitica di quando in quando la “sua” Divina Commedia. Ma in proposito bisogna ricordare che nel ’58 Gassman inventò, organizzò e interpretò il primo spettacolo-contenitore della Rai, Il mattatore, programma controverso ma di enorme successo nell’Italietta della prima tv.
La trasmissione fu talmente rappresentativa del suo ideatore e protagonista che da allora Gassman fu chiamato “il Mattatore”, e qualche anno dopo interpretò un film con quel titolo, diretto ancor una volta da Risi.
E prima di calare il sipario entriamo, ma in punta di piedi, nella vita privata e nell’anima di Vittorio. Amò molto l’altro sesso, tanto da sposarsi 3 volte – con Nora Ricci, figlia del grande attore Renzo Ricci e nota attrice lei stessa; la diva americana Shelley Winters, nel suo breve periodo hollywoodiano, e Diletta D’Andrea, l’ultima consorte.
A queste esperienze si aggiungono diverse relazioni e convivenze, alcune con celebrità come Anna Maria Ferrero e Juliette Mayniel. Da questi rapporti ebbe 4 figli: Paola, dalla Ricci; Vittoria, dalla Winters; Alessandro, dalla Meyniel, e Jacopo, dalla D’Andrea. Esuberante e sopra le righe anche in questo campo, dunque. Però, astenendoci dai giudizi morali, ci piace ricordare che Gassman ha amato e seguito tutti i suoi figli fino alla fine.
Si è parlato per i suoi ultimi anni di una conversione religiosa. «Non sono mai stato ateo», precisava. Però verso la vecchiaia, effettivamente, pure per le angosce causategli dalla depressione e dal disturbo bipolare che lo tormentava da una vita, si avvicinò a una fede cristiana più profonda e vissuta, iniziando un cammino insieme a Diletta. Con cui accarezzò perfino l’idea di sposarsi in chiesa, essendo morta da tempo la sola con cui aveva celebrato nozze religiose, Nora Ricci.
Di questo e di tanti altri temi spirituali il Mattatore conversò a lungo con i padri camaldolesi, divenuti amici. Con uno di loro chiacchierò al telefono il pomeriggio del 28 giugno del 2000, dicendogli fra l’altro: «Padre, mi affido e metto la mia vita nelle mani di Dio». Poche ore dopo, la notte, morì.
__
Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre riviste, i corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it
—