Gas, guerra ed ambiente
L’estate anticipata a maggio ed i fiumi della Valle Padana a secco ci stanno ricordando che il cambiamento climatico avanza inesorabile anche se la guerra in Ucraina lo ha fatto mettere in secondo piano.
Guerra che invero ci sta offrendo una ragione in più ad occuparcene: la prospettiva di dover fare a meno del 40 % del metano che bruciamo, ci ripropone l’urgenza di sostituire con energie rinnovabili questa fonte di energia a cui ci siamo affidati per l’uso domestico e l’industria, quale primo passo verso l’azzeramento delle nostre emissioni di gas serra.
Il gas naturale è principalmente metano, idrocarburo fatto di un atomo di carbonio e quattro di idrogeno. Gli idrocarburi del petrolio mediamente contengono due atomi di idrogeno per atomo di carbonio. Il carbone è praticamente carbonio: nella combustione l’ossigeno trasforma il carbonio in anidride carbonica, mentre l’idrogeno diventa acqua. Sostituire nelle centrali elettriche il carbone con gas naturale significa produrre energia dimezzando la emissione di anidride carbonica, il principale gas serra.
Avendo l’Italia rinunciato al nucleare, il gas naturale è lo stadio intermedio verso le energie rinnovabili del fotovoltaico, dell’eolico e del geotermico, ed è stato scelto per la sua grande disponibilità dalla Siberia, dall’Africa, dal Medio Oriente ed ultimamente anche dal Mediterraneo Orientale.
Grazie alla sua scoperta a Cortemaggiore in valle padana negli anni cinquanta del secolo scorso ed alla intuizione di Enrico Mattei che la sua distribuzione in tutto il territorio poteva accelerare l’industrializzazione, l’Italia si è dotata di una rete di migliaia di chilometri di gasdotti, in seguito connessi con i gasdotti esteri per ricevere gas in Puglia dall’Azerbaijan, in Lombardia con dall’Olanda, in Sicilia a Mazara del Vallo dall’Algeria ed a Gela dalla Libia ed in Veneto dalla Russia.
Pur riaprendo le centrali a carbone ancora agibili, rinunciare al 40 % del gas russo non è semplice anche con l’aumento delle forniture dall’Algeria e dall’Azerbaijan ed anche riattivando le estrazioni dall’Adriatico e dallo Ionio a cui un ambientalismo molto superficiale ci aveva convinto a rinunciare.
Tutto questo non basterà: altrettanto gas dovremo far giungere in forma liquida con navi gasiere (LNG), da gassificare poi a casa nostra: non avendo consentito per puro sfizio politico la installazione di una stazione di rigassificazione galleggiante (FRSU) davanti a Brindisi, attualmente disponiamo solo di un rigassificatore in Liguria a Panigaglia, costruito molti anni fa per il gas liquefatto libico, e due più recenti, a Livorno ed a Rovigo.
Se la Snam riuscirà ad adempiere all’incarico del governo di noleggiare per Piombino e Ravenna due delle cinque FRSU che sono disponibili sul mercato mondiale, saremmo in grado di rigassificare l’LNG concordato con i paesi produttori Qatar, Congo, Angola, Mozambico ed Egitto; tutte nazioni che considerano l’Italia un paese amico, anche ricordando quando Enrico Mattei alla guida dell’Agip aveva sfidato le multinazionali del petrolio offrendo ad essi un rapporto paritario e costruendo per essi raffinerie per evitare importazioni.
Optare decisamente per il fotovoltaico e l’eolico è certamente necessario, ma non si realizza in pochi mesi, pur sbloccando i molti progetti fermati da anni dal Ministero della Cultura e dalle Regioni spesso per vincolo paesaggistico: evidentemente il veder muovere in lontananza pale eoliche disturba la gradevolezza del paesaggio ed il volo dei gabbiani quando si tratta di progetti situati a 12 miglia dalle coste italiane.
Può non essere gradevole, ma adesso lo sarebbe molto meno perdere il lavoro per la fermata delle aziende o soffrire il freddo d’inverno ed il caldo d’estate; molto meglio a mio parere sopportare la vista delle pale eoliche per i prossimi 25 anni, la durata dei loro permessi di esercizio, alla fine dei quali vi è l’impegno dello smontaggio, in attesa che la fusione nucleare fornisca ai nostri nipoti energia senza limiti.
La crisi della guerra in Ucraina ha adesso l’effetto positivo di obbligare il governo a sbloccare almeno i permessi più rilevanti. Gli accordi già sottoscritti per una ulteriore fornitura di gas naturale gassoso o liquido forse non copriranno tutte le necessità e non è chiaro entro quanto tempo si realizzeranno: sarà forse necessario importare LNG anche dagli Stati Uniti, anche se sarebbe meglio non favorirne la produzione, in buona parte realizzata con la tecnica della fratturazione delle rocce profonde che comporta emissioni di metano, che come gas serra è venti volte più dannoso della anidride carbonica.
Come possiamo contribuire noi cittadini? Riducendo i consumi di energia, andando a piedi, in bicicletta o con i mezzi pubblici, coibentando le abitazioni ed attrezzandole con “pompe di calore” che riscaldano consumando un terzo dell’energia di una stufa elettrica.
Si arriverà davvero ad applicare le sanzioni sul gas? In quel caso la Russia dovrebbe ridurne la produzione perdendone il ricavo, non disponendo di sufficienti gasdotti verso la Cina e neppure stazioni di liquefazione sulla sua costa artica presso i pozzi di produzione: questi erano in costruzione con società occidentali, che con la guerra si sono ritirate.
L’introito dal gas per la Russia è vitale, tanto è vero che non essendovi ancora le sanzioni, ultimamente la quantità di gas russo che giunge in Italia è aumentata: sia per l’alto prezzo, ma forse perché la Russia preferisce minimizzare la quantità presente nei suoi stoccaggi sotterranei, per avere in essi più spazio disponibile quando le sanzioni eliminassero gli altri sbocchi.
Noi consumatori non dovremmo comunque avere problemi di scarsità nei mesi a venire perché d’estate il consumo si riduce ed il gas naturale viene dirottato nei nostri depositi sotterranei: semmai difficoltà le avremo nella primavera prossima, se nel frattempo nulla si risolvesse.
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