Gas e geopolitica

Implicazioni di rilievo dopo l'accordo tra Cina e Russia relativo alle forniture di gas naturale per 30 anni, che prevede anche la realizzazione di un nuovo gasdotto tra i due giganti economici
Pozzi di petrolio

La Russia ha firmato un grande accordo di fornitura di gas naturale dei suoi giacimenti siberiani, che a Occidente raggiungerà la Cina tramite il gasdotto che attraversa il tratto di frontiera tra il Kazakistan e la Mongolia e tramite un nuovo tubo che attraverserà la Grande Muraglia a Oriente.

La Cina acquisterà il gas a un prezzo inferiore a quello per le nazioni europee e ultimamente  per l’Ucraina; si tratta di un contratto trentennale di un “matrimonio energetico”, che aiuterà la Cina a produrre energia senza l’inquinamento del carbone che oggi ne condiziona la qualità della vita; la Russia, che investe nel nuovo tubo 55 miliardi di dollari, otterrà uno sbocco alternativo per il suo gas, tanto più che il suo cliente europeo sta seriamente cercando alternative, reso sempre più nervoso alle ricorrenti incertezze della fornitura.

La sicurezza della vendita a un buon prezzo per le sue esportazioni è un tasto particolarmente sentito in Russia, che non può dimenticare che all’inizio degli anni Novanta il calo degli introiti dalle esportazioni di petrolio, dovuto al crollo del prezzo sotto i 10 dollari al barile, è stato una delle prime cause della disgregazione dell'Unione Sovietica, che in quel momento non è stata più in grado di compensare con gli introiti delle esportazioni la inefficienza economica della sua economia pianificata.

Putin è consapevole che anche nel presente la baldanza della sua Russia poggia su un prezzo del petrolio attorno a cento dollari al barile: baldanza che evaporerebbe se quel prezzo si dimezzasse per eccesso di produzione; un evento non impossibile, visto il ridotto sviluppo economico mondiale e le nuove disponibilità di gas e oro nero scoperte in Mozambico, in Angola, in Iraq, in Iran (se vengono tolte le sanzioni) e negli Stati Uniti: è più che ragionevole quindi che approfittando degli attuali alti introiti delle esportazioni li investa per assicurarsi nuovi clienti per il suo gas e per acquistare le raffinerie del Mediterraneo, in cui raffinare il suo grezzo in caso di eccedenze di produzione.

Tutto quanto sopra suggerirebbe che per convincere Putin a fermarsi in Ucraina, più che le sanzioni economiche potrà valere l'alternativa già prospettata da Obama di permettere l'esportazione dagli Usa del gas di scisto liquefatto e del “Tight Oil”, quel petrolio ricco di distillati che sale in superficie in abbondanza quando si frattura, non senza conseguenze ambientali, il sottosuolo delle grandi praterie americane.

      

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