Gandhiniketan, scuola per tutti

AMadurai, centro della millenaria cultura tamil del sud India, fra la folla variopinta e rumorosa che attende i viaggiatori provenienti da Bangalore sul Turicorin Express, individuo subito l’avvocato Mariappan ed il suo amico Natarajan. Vestiti in khadi bianco, si distinguono immediatamente dal resto della gente. Mariappan e Natarajan sono amici da una vita, cresciuti quasi insieme all’ombra del tempio di Meenakshi o del Loto, una delle meraviglie dell’India indù. Da quasi cinquanta anni sono inseparabili e lavorano e viaggiano insieme, condividono gioie, dolori e problemi. La loro amicizia ha una radice comune incrollabile: il Mahatma Gandhi e il suo movimento di Sarvodaya. Quando Gandhi venne a Madurai per la quarta volta, finalmente accettò di entrare nel famoso tempio. Aveva saputo infatti che i notabili avevano permesso da qualche tempo anche agli harijans, i fuori casta, l’accesso al luogo sacro, altrimenti negato. Anch’io ero corso a vedere il Mahatma. C’era una folla sterminata. Quell’incontro, pur breve, fu decisivo per Natarajan, giovane studente. Quando, dopo pochi mesi, il Mahatma cadde martire delle pallottole di un fanatico indù, partì per Wardha, piccolo villaggio coperto di polvere a due giorni di viaggio. Lì vicino Gandhi aveva costruito il suo ashram e Natarajan voleva andare alle radici di quell’uomo affascinante. Poco lontano trovò Vinobha Bhave, il seguace più fedele del grande bapu, cioè padre. Natarajan cominciò a viaggiare col grande profeta della comunione gandhiana e camminò per anni alla sua sequela. Erano gli anni in cui Vinoba chiedeva le terre dei ricchi e, soprattutto, dei templi, che non venivano coltivate, per distribuirle ai poveri. Si può dire ora che la distribuzione sia quasi terminata, mi dice con grande fierezza. Oggi, Natarajan dirige l’Istituto di pensiero gandhiano, e a 72 anni non cammina più come una volta; anzi, appare claudicante, ma è sempre vivi Mariappan ha l’aria del vegliardo che ti trasmette pace e tranquillità ed il suo fare è sottolineato da una gentilezza squisita. Anche lui ha incontrato gli ideali gandhiani da giovane studente universitario. Ha avuto ancora piu fortuna di Natarajan: nel 1948, infatti, aveva potuto partecipare ad un corso tenuto nell’ashram di Sevagram dal Mahatma stesso. Come si potrebbero dimenticare quei 21 giorni? E poi anche per lui venne l’amicizia con Vinobha, l’impegno a realizzare gli ideali del movimento Sarvodaya. Sarvodaya, significa benessere per tutti, e questa è sempre stata la finalità che ha mosso Mariappan, anche nella sua professione di avvocato. Le sue cause sono sempre state combattute in nome della verità, quella verità che era per Gandhi l’appellativo principe del Dio che si era rivelato a lui e che, insieme alla ahimsa, la nonviolenza, gli permise di diventare un modello di umanità per la storia. Ma questo non è che l’inizio della visita a Madurai. I due amici gandhiani, dopo una buona colazione tipica del sud India, in un ristorante caro ad entrambi perché lo stesso in cui venivano a mangiare da giovani studenti universitari, hanno deciso per un programma inatteso: Kallupatti. Il nome suona come uno dei tanti villaggi della sconfinata pianura dello stato del Tamil Nadu, che alterna un verde lussureggiante a chilometri e chilometri di terra arida. Kallupatti, invece, ha qualcosa di speciale, che la gente di qui ben conosce: Gandhiniketan. È un appezzamento di terra (45 acri) che ti colpisce subito per la sua normalità. Qui si respira una tranquillità che trasmette pace e semplicità. Ma il tutto nasconde un che di straordinario: che cosa lo spirito di Gandhi è stato capace di fare in un paese di un miliardo di persone. Gandhiniketan conta oggi 3.500 studenti dalla prima elementare alla seconda superiore. Quasi tutti vengono da famiglie poverissime della zona o dei villaggi nel raggio di 100 chilometri , mi dice Paul Raj, altra figura carismatica, un gandhiano tutto d’un pez- zo, affetto da polio in tenera età e cresciuto a Kallupatti, dove ha insegnato come maestro per trent’anni prima di diventarne il leader indiscusso. I bambini – continua – non studiano solamente quanto si trova sui testi di scuola, ma si cerca di far maturare la loro personalità, non in nome di esami che devono superare per entrare al college, ma in vista della vita che li attende. Desideriamo che diventino veri uomini e vere donne. Mi lascia di stucco il fatto che non ci siano controlli durante gli esami: gli studenti sanno che devono fare tutto con grande onestà. Non esistono le famigerate lezioni private che incollano i ragazzi e le ragazze di questo paese ai libri, dopo le lezioni scolastiche, per almeno altrettante ore. A Gandhiniketan gli insegnanti sanno che devono insegnare per la crescita degli studenti non per i propri interessi e lo fanno, prestando fra le altre cose, una attenzione particolare agli studenti meno capaci a quelli che in altre scuole non ce la farebbero. Non vogliamo sentir parlare di studenti bocciati – prosegue -. Tutti devono essere promossi, non per misericordia, ma perché arrivano a meritarselo e non per le cose che sanno ma per la vita che matura in loro. Ma ci sono altri tratti che hanno del profetico su questo fazzoletto di terra. Quando arriviamo, è mattina presto, l’immenso spazio pullula di vita: bambini, maestri e maestre si danno un gran d’affare a pulire, spazzare, pettinare la sabbia che cosparge l’intera tenuta. Le piante ed i fiori vengono bagnati, le foglie raccolte. Dopo un’ora tutto è lindo e pulito nella semplicità sconcertante di casette fatte di pietra impastata ad un intonaco colorato di bianco. Tutti lavoriamo, studenti e insegnati, non si sono persone di servizio. Tutti vengono a scuola un’ora prima. Il lavoro per il bene comune – sarvodaya appunto – è parte integrante della nostra formazione. Guardando sia studenti che professori si coglie un altro tratto rivoluzionario: persone di caste diverse sono a contatto costante, lavorano e studiano insieme, mangiano alla stessa mensa e bevono la stessa acqua, in un mondo dove da millenni tutto questo appare impossibile. Da vero indù, il Mahatma non era contrario alla struttura sociale delle caste, ma per tutta la vita aveva lottato con tutte le sue forze per eliminarne gli aspetti discriminanti di un gruppo sull’altro e di tutti verso i fuori casta, i famosi harijans, figli di Dio, chiamati oggi dalits. Le realizzazioni di Gandhiniketan restano encomiabili per la promozione della dignità della vita rurale. Rajeswari è una tipica donna del Tamil Nadu, occhi vivissimi su una carnagione scura ed una pelle già invecchiata dal sole e dalla povertà. Questo ashram ci ha tolti alla miseria più nera, commenta spiegando che cinquecento donne, fra cui lei, sono impiegate nei quattordici centri tessili tenuti dall’ashram in diversi villaggi. A Kallupatti vengono da diverse regioni per imparare un mestiere: il tessile, il conciario o la riparazione di elettrodomestici ed il riciclaggio della carta sono solo alcuni dei ventitré settori in cui si opera un training per la gente dei villaggi. Il Mahatma è presente e, molto più profondamente, di quanto tutte queste realizzazioni sembrano testimoniare. Il fondatore del Gandhiniketan, G. Venkatachalapathy, volle un pugno delle ceneri di Bapu che oggi sono conservate nel nuovo centro, appena si entra nella proprietà. Ma, al di la delle ceneri, è lo spirito di questi uomini e donne che tiene il Mahatma vivo come in pochi altri luoghi dell’India. È ormai il tramonto. Con Natarajan, Paulraj e Mariappan ci sediamo sotto gli alberi di neem, una pianta medicinale che dà foglie che colorano di verde tenue e offrono frescura il grande spazio ormai immerso nella pace. Restiamo noi quattro a parlare dei tanti ricordi di questi decenni. Mentre si snocciolano storie ed aneddoti affascinanti, anche la mia memoria torna agli anni Sessanta. Ragazzino delle elementari, ricordo quanto spesso si parlasse di Gandhi e quanto avrei voluto incontrare quell’uomo. Stasera, nella pace e nell’ordine candido di Gandhiniketan l’ho trovato, davanti alle sue ceneri ma soprattutto fra Mariappan, Natrajan e Paulraj.

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