Gandhi e i giovani indiani

Il Mahatma, la "Grande anima", continua ad essere fonte d’ispirazione per le giovani generazioni che hanno fatto proprio il motto "Be the change": ciascuno dovrebbe essere quel cambiamento che vorrebbe vedere negli altri ed attorno a sé. Intervista a Vinu Aram, direttrice dello Shanti Ashram di Coimbatore
India

La dottoressa Vinu Aram, direttrice dello Shanti Ashram di Coimbatore (Tamil Nadu – India) è attiva da anni nell’ambito del dialogo interreligioso. Figlia di un noto pacifista gandhiano, il dr. Aram, prematuramente scomparso nel 1997, per decenni impegnato in processi di pace nel Nord-Est dell’India, oltre che accademico riconosciuto ed apprezzato e presidente della Conferenza mondiale per le religioni e la pace (WCRP oggi Religioni per la pace), la dottoressa Vinu Aram è fin dagli anni della sua giovinezza impegnata nel dialogo interreligioso. Si tratta di un coinvolgimento sia a livello locale, attraverso lo Shanti Ashram che dirige da anni sotto la presidenza attenta e lungimirante della madre, la sig.ra Minoti Aram, sia a livello internazionale, dove è membro di istituzioni e conferenze.

Conoscendo il suo impegno e quello dello Shanti Ashram nel comunicare e trasmettere gli ideali gandhiani le abbiamo rivolto alcune domande, durante una sua recente visita a Roma, soprattutto su come si coniuga la figura di Gandhi con l’India di oggi, potenza economica mondiale ormai affermata e riconosciuta, ma caratterizzata ancora da profonde contraddizioni locali.

Qual è l’immagine dell’India che Le piace proporre al mondo che la guarda?
«Senza dubbio è la popolazione giovane. Oggi, pensare al nostro Paese, infatti, significa pensare ad una nazione giovane. La popolazione sotto i trent’anni è circa il 50 per cento di quella totale (che ha ormai da tempo sfondato la soglia del miliardo). Viaggiando per il mondo quando si parla dell’India e, soprattutto dei giovani indiani, ci si riferisce a quanto essi fanno nel settore della finanza, dell’economia e della tecnologia informatica. In questi campi gli indiani, e particolarmente i nostri giovani, sono ormai affermati a livello mondiale».

Giovani, dunque, pienamente inseriti nei circuiti della globalizzazione. È tutto?
«Assolutamente no! Ci sono altri due livelli che vorrei mettere in evidenza, in cui i giovani indiani si stanno impegnando e nei quali stanno emergendo. Li potrei definire come due ‘spazi’: uno sociale e l’altro politico».

Potrebbe spiegare meglio a cosa si riferisce?
«I giovani in India si trovano in un processo di ricerca della propria identità sia a contatto con il mondo esterno (e qui economia e media o informatica hanno un ruolo fondamentale) sia in una ricerca interiore che possa condurli a risposte decisive su questioni fondamentali: chi sono? Dove vado?
Inoltre, molti giovani si sentono impegnati a trovare modalità perché quanto essi hanno ricevuto dalla comunità (la famiglia, la città, l’ambito educativo) possa avere una ricaduta come un proprio contributo civile. È su questo duplice percorso che si incontrano con Gandhi, che costituisce un modello di come vivere la compassione e di come arricchire l’ambiente attorno a noi. Non sono, quindi, soddisfatti di quanto tecnologia e globalizzazione posso dare, ma intuiscono che il valore della compassione e della cura degli altri rappresenta un attributo importante per la loro identità».

Gandhi quindi è ancora rilevante oggi?
«Senza dubbio! È, per esempio, fonte d’ispirazione per giovani che si stanno impegnando in quella che potrei definire ‘cittadinanza attiva’. Molti gruppi giovanili lanciano iniziative sul territorio ed è molto interessante notare che uno dei motti preferiti è: be the change. Si tratta di uno dei leit-motif del Mahatma che amava ripetere che ciascuno dovrebbe essere quel cambiamento che vorrebbe vedere negli altri ed attorno a sé».

Esiste una ricaduta politica?
«Indubbiamente, l’impegno si allarga dal sociale al politico, come dimostra, per esempio, l’impegno che molti giovani hanno mostrato nella campagna anti-corruzione lanciata da Anna Hazare, il pacifista e attivista sociale da tempo impegnato contro la corruzione della società indiana e soprattutto della classe politica. Ma non solo. In occasione delle ultime consultazioni elettorali, sia politiche che amministrative, si è notata una inversione di tendenza verso l’alto della partecipazione al voto. Si è toccato il 70 per cento e questo per merito, soprattutto, dei giovani, che sono intervenuti nel dibattito elettorale sia a livello nazionale che locale».

Ultimamente si è parlato molto delle manifestazioni in tutta l’India contro la violenza sulla donna. Cosa può dirci in merito?
«Questa della dignità della donna è la seconda grande battaglia, dopo la corruzione, che stiamo combattendo. Per la prima volta sono stata testimone di uomini e donne che si sono rifiutati di riconoscere di appartenere ad una società in cui si compiono certi atti di violenza sulle donne. In particolare, proprio i giovani si sono ribellati. A Coimbatore, per esempio, la città in cui vivo ed in cui opera lo Shanti Ashram, abbiamo avuto una grande manifestazione contro la violenza perpetrata sulla donna. L’80 per cento dei manifestanti era rappresentato da ragazzi».

Come si rapportano questi giovani con Gandhi?
«Leggono le sue opere o quanto scritto su di lui, visitano i centri gandhiani come quello in cui operiamo noi o quelli legati alla sua vicenda storica e personale, ma soprattutto mi pare cerchino aspetti nei quali possano trovare dei valori veri».

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