Gandhi. Dubbi e attualità
Il 30 gennaio 1948 sembrava essere un giorno come tanti per la Nuova Delhi offuscata dalla nebbia invernale. Gandhi, padre della patria, si avviava anche quel giorno ad incontrare centinaia di persone che desideravano vederlo e toccarlo e, se erano fortunati, scambiare qualche parola con la grande anima, come il Nobel Tagore lo aveva ribattezzato. Ma quel giorno sarebbe stato diverso. Due spari e due parole: Ehi Ram (Oh Dio), avrebbero cambiato la storia dell’India. Una luce si è spenta sulle nostre vite avrebbe annunciato, poche ore dopo, alla nazione sgomenta il premier Nehru. Gandhi era ed è rimasto, come tanti carismatici, un enigma. Lo sottolineano non solo storici e commentatori, ma lui stesso, probabilmente cosciente della complessità della sua vita. Aveva annotato: Una volta che questi occhi saranno chiusi per sempre ed il mio corpo sarà consegnato alla fiamme, ci sarà tutto il tempo per pronunciare un verdetto sulla mia opera. Gli fece eco il giorno successivo alla morte il New York Time che sentenziò: Sta ora alla mano inesorabile della storia scrivere il resto. Sessant’anni non sono troppi nella prospettiva dei millenni che fanno la storia, ma sono un tempo sufficiente per una valutazione. Nel XX secolo, scandito da grandi eccidi e stermini, da violenze inaudite e da dittatori che hanno probabilmente espresso la notte dell’umanità, Gandhi è senza dubbio una delle risposte incrollabili di speranza, una testimonianza che resisterà ai millenni per ispirare le generazioni a venire. Resta un punto di riferimento al di là del tempo, delle latitudini e delle etichette culturali e religiose: un patrimonio dell’umanità. L’India è profondamente cambiata: da Paese immagine della fame e del sottosviluppo si sta affermando come una delle economie rampanti, capaci di far impallidire l’Europa e gli Stati Uniti; India protagonista, con la Cina, di un’ascesa che sta spostando il baricentro del mondo verso l’impero di Cindia. In tale contesto la figura di Gandhi parrebbe essere ormai passata nella polvere dei musei, dimenticata e accatastata fra ciò che non serve. Il suo arcolaio, simbolo del movimento Swadeshi (produrre e consumare del proprio) sembra cozzare con i call center delle cyber-city di Bangalore, Hyderabad, Pune, Gurgaon, centrali dell’industria dell’informazione tecnologica globalizzata. Il suo tentativo d’impostare la vita politica e sociale a partire dai villaggi piuttosto che dalle città sembra essere stata sconfitta per sempre dalle megalopoli che ormai il sub-continente propone: più di venti città con una popolazione superiore al milione di abitanti fino ai 17 milioni di Mumbai, ai 13 di Calcutta e New Delhi. La proposta gandhiana di un’economia di permanenza fondata sulla autogestione del villaggio e dell’unità sociale in quanto tale e della redistribuzione ad altri di quanto in eccesso sembra essere irrisa dalla crescita esponenziale dell’economia. Eppure, mai come negli ultimi tempi si parla di Gandhi. Lo si fa soprattutto a livello popolare, in quelle sezioni della società che sembrerebbero ormai lontane anni luce dal Mahatma. Bollywood, ad esempio: l’industria cinematografica che sforna circa 700 film all’anno, negli ultimi mesi ha proposto Gandhi come protagonista di vari film. In particolare Gandhi, mio padre propone un tema reale, ma sconosciuto: il difficile rapporto fra la grande anima ed il figlio primogenito, allontanatosi da casa e morto, vittima di alcol e disperazione e nell’oblio assoluto, solo pochi mesi dopo il padre. In vari ambiti d’ispirazione gandhiana si sta tentando una ridefinizione della figura del Mahatma per trovarne la valenza giusta nel contesto odierno dove, senza dubbio, l’India fa i conti con milioni di figli ancora sotto il livello minimo di povertà, ma anche annovera un bel numero di rappresentanti nella lista degli uomini più ricchi del pianeta. Resta vera la considerazione di un grande contemporaneo del Mahatma, Albert Einstein, il quale pensava che un giorno a stento si sarebbe potuto credere che una persona come lui avesse davvero camminato, sulle strade di questo mondo. A sessant’anni da quei due spari, di fronte al piccolo uomo inconfondibile, conserviamo questa incredulità, parte del mistero che conduce la storia. I conflitti fra Gandhi e i suoi contemporanei Il fatto che Gandhi sia morto martire dimostra che, sebbene seguito dalle masse e capace di mettere pacificamente in crisi un impero, non rimase immune da inimicizie. Ancora oggi non sono pochi in India a ritenere che la sua vita e le sue posizioni in campo religioso, soprattutto nel rapporto fra indù e musulmani, abbiano creato più problemi che soluzioni. Qual è la proposta di Gandhi verso il diverso, verso l’altro? Quale la sua chiave di lettura per costruire rapporti che siano soluzione e non causa di conflitti? Nell’ambito del dibattito sulla figura del Mahatma, si è inserito in Italia un tassello, grazie ad una tavola rotonda, tenutasi nel mese di settembre presso la Regione Toscana. Organizzata dall’assessore regionale Massimo Toschi, in occasione della visita a Firenze di una delegazione di una ventina di operatori sociali, accademici e personalità attivamente impegnati in istituzioni d’ispirazione gandhiana, ha affrontato un tema stimolante: Pensare il nemico, in Gandhi, nella tradizione cristiana, nel pensiero laico. Tra gli intervenuti, la professoressa A. Suriakanthi, responsabile dell’Istituto per l’educazione degli adulti presso il Gandhigram Rural Institute di Dindigul, nel Tamil Nadu, in India del Sud. Intervista. Gandhi, apostolo della non-violenza non è stato scevro da discrepanze di vedute con varie personalità del suo tempo. Quali sono stati i contrasti più significativi? Sebbene personalità di grande rilievo, come Martin Luther King e Nelson Mandela abbiano trovato nella filosofia gandhiana della nonviolenza una fonte di ispirazione nella lotta contro l’oppressione, alcuni dei contemporanei avevano avuto con lui divergenze notevoli. Jinnah, fondatore del Pakistan, era il nemico tradizionale di Gandhi. Quale il rapporto fra i due? Senza dubbio, Muhammad Ali Jinnah merita un’attenzione speciale fra coloro che si opposero a Gandhi nel campo della divisione fra le religioni. Verso la fine degli anni Trenta divenne il leader della Lega musulmana che nel 1940 cominciò a rivendicare autonomia per le zone a maggioranza mussulmana. Jinnah organizzò iniziative che degenerarono in episodi di violenza. A Calcutta 5 mila furono le vittime, sia indù che musulmane; ma questo non impedì a Jinnah di dichiarare: Musulmani e indù rappresentano due nazioni indipendenti. Il vero bene dell’India sta nella divisione del Paese. Cosa pensava Gandhi riguardo alla possibilità di dividere l’India su base religiosa? Gandhi non credette mai alla divisione dell’India. Sosteneva, infatti, che era una sola nazione e la divisione avrebbe portato alla rovina di tutto il Paese. Accettava, tuttavia, l’idea di formare Stati a maggioranza mussulmana, ma all’interno di una federazione. Metteva, quindi, in dubbio il diritto rivendicato dai musulmani indiani di chiamarsi nazione. Quest’atteggiamento lo rese il nemico numero uno dell’Islam. Gandhi fece di tutto per cambiare la prospettiva di Jinnah sulla partizione del Paese e, anche se fallì nel suo tentativo, non arrivò mai ad odiarlo. Ad esempio, prima che la divisione dell’India fosse sancita, Gandhi cercò per un’ultima volta di incontrare Jinnah. Ad alcuni amici che lo scoraggiavano, disse: Se fosse necessario, incontrerei Jinnah fino a 70 volte 7. È una questione vitale. Arrivò al punto di suggerire che Jinnah diventasse il primo ministro dell’India unita. Poi, nel 1947, il grande Paese fu diviso in India e Pakistan; i conseguenti flussi migratori verso le due nazioni provocarono una vera e propria carneficina. Gandhi visse situazioni di conflitto anche nell’ambito sociale? Senza dubbio. Famoso resta lo scontro fra Gandhi ed il dott. Ambedkar sulla questione della dignità degli intoccabili, oggi chiamati dalit, che Gandhi aveva ribattezzato harijans (figli di Dio). Ambedkar era nato fuori casta, ma era riuscito ad arrivare molto in alto grazie alle sue convinzioni ed al suo impegno. Sebbene, inizialmente fosse un ammiratore di Gandhi, più tardi ne divenne deciso oppositore. Era, infatti, convinto che Gandhi fosse il più grande nemico che gli intoccabili avessero mai avuto in India. Gandhi si era in effetti opposto alla proposta, formulata da Ambedkar, di un doppio elettorato: per gli indù di casta e per gli intoccabili. Ambedkar, invece, riteneva che una tale soluzione garantisse ai dalit la possibilità di raggiungere posizioni direttive, liberandosi così dall’oppressione degli indù di casta alta. Ma Gandhi non era contrario all’intoccabilità? Certo! La considerava un vero peccato. Entrambi, dunque, volevano una soluzione al problema della intoccabilità, ma le modalità che proponevano erano diverse. Il governo britannico, da parte sua, era pronto a distinguere i due elettorati, ma Gandhi iniziò un digiuno per scongiurare questa soluzione. Riteneva, infatti, che essa avrebbe perpetuato lo stato di subordinazione dei dalit, oltre a favorire il tentativo del governo britannico che mirava a portare divisione all’interno degli indù. Tuttavia, suggerì di assicurare agli intoccabili un numero di posti di lavoro nell’abito dell’impiego statale. In sintesi, il Mahatma desiderava estirpare la intoccabilità cambiando il cuore degli indù, mentre Ambedkar riteneva che solo i diritti politici avrebbero risolto il problema. Un terzo conflitto è quello col Nehru. È luogo comune considerare il primo ministro dell’India indipendente come l’espressione politica del pensiero gandhiano… Nehru tornò da Londra in India e incontrò Gandhi nel 1916. Ne fu subito attratto, vedendo la sua capacità d’influenza sulle masse. Entrambi nutrivano un’ammirazione reciproca. Gandhi vedeva Nehru come un cristallo puro e questi considerava Gandhi come la luce della nazione. Tuttavia Gandhi stesso affermò una volta: Le divergenze fra noi sono così radicali che mi pare non ci possa essere possibilità di incontro. In quali ambiti emergevano tali divergenze? In politica Nehru non riusciva ad accettare l’approccio sentimentale e spirituale di Gandhi, che con frequenza si riferiva e Dio. Il Nehru agnostico non dava prova di una grande pazienza nei confronti della spiritualità del Mahatma. La posizione di Nehru era invece legata all’impegno per l’umanesimo scientifico caratterizzata da vedute progressiste. Giustamente viene affermato che mentre Gandhi aveva un approccio spirituale nel suo ideale di costruire l’India, l’atteggiamento del suo erede politico, Nehru, era piuttosto di carattere scientifico e tecnologico. Le divergenze fra i due investivano anche l’ambito economico. Nehru era contrario alle proposte gandhiane del swadeshi (l’uso di prodotti locali a scapito di quelli provenienti dall’Inghilterra) ed del swaraj (auto-governo) dei villaggi. Per lui erano frutto di una visione irrealistica. Nonostante tutto questo, Nehru e Gandhi non si divisero mai e restarono amici fino alla morte del Mahatma. Oggi, fra le giovani generazioni, si trovano più critici di Gandhi di quanti ce ne fossero in passato… I problemi sociali che esistevano al tempo di Gandhi continuano a minare la società indiana, in particolare quello delle caste e delle tensioni fra gruppi religiosi. Altri, poi, se ne sono aggiunti a causa della globalizzazione. La frattura fra poveri e ricchi si sta approfondendo, c’è oggi anche una frattura digitale. C’è terrorismo e violenza. Chi meglio conosce Gandhi è convinto che la sua filosofia è valida ancora oggi e che i mali del mondo possono essere curati con l’adesione alla filosofia spirituale di Gandhi. Austerità, semplicità, verità, non-violenza, generosità, forza dell’anima, amore e fratellanza sono i fondamenti della coesistenza pacifica, non solo per i nostri giorni, ma per i tempi a venire.