Gam Gam, un inno di speranza in mezzo alla Shoah

Ivàn, nel celebre monologo de I fratelli Karamazov di Dostoevskj, dichiara con veemenza di non accettare l’ingiustizia della sofferenza dei bambini. Dichiara che “restituisce il biglietto d’ingresso” al paradiso a un Dio che permette le sofferenze anche di un solo bambino: «Se la sofferenza dei bambini servisse a raggiungere la somma delle sofferenze necessaria all’acquisto della verità, allora io dichiaro in anticipo che la verità tutta non vale un prezzo così alto. Non voglio insomma che la madre abbracci l’aguzzino che ha fatto dilaniare il figlio dai cani! Non deve osare perdonarlo! Che perdoni a nome suo, se vuole, che perdoni l’aguzzino per l’incommensurabile sofferenza inflitta al suo cuore di madre; ma le sofferenze del suo piccino dilaniato ella non ha il diritto di perdonarle». Sono parole durissime. Che riportano purtroppo a una realtà sconvolgente. Ai bambini vittime della violenza degli adulti.
Durante la Shoah si stima che circa 1,5 milioni di bambini sono stati uccisi nei campi di concentramento e sterminio, nei ghetti o durante le operazioni di massa. Tra essi bambini disabili, uccisi nell’ambito del programma di eutanasia nazista tristemente noto come Aktion T4. Molti di questi bambini morirono per fame, malattie, condizioni di vita disastrose, esecuzioni crudeli o per esperimenti medici disumani nei campi di Auschwitz, Treblinka, Sobibor e altri. La cifra di 1,5 milioni è una stima basata sui documenti storici e sulle testimonianze dei sopravvissuti, ma il numero esatto potrebbe essere più alto, e mai conosciuto con certezza.
Nella crudeltà della stagione nazista, questa crudeltà è la più sconvolgente. Che ripropone in tutta la sua rabbia l’indignazione di Ivan Karamazov.
Ma i bambini, sempre e sotto tutti i cieli, sono anche segno di speranza, della caparbietà della vita di non arrendersi. Nel film di Roberto Faenza, Jona che visse nella balena, una maestra insegna a Jona e agli altri bambini rinchiusi del lager una canzone. Si tratta di una scena di immaginazione, chissà se realmente accaduta durante la Shoah, ma qualcosa di simile è certamente successo: la volontà di insegnare ai bambini di innalzare un canto, come una preghiera di speranza nel mezzo di quelle circostanze tragiche, un canto che diventa un simbolo della capacità di resilienza dello spirito umano. La canzone si intitola Gam Gam e riprende il quarto versetto del testo ebraico del Salmo 23, Il Signore è il mio pastore: «Anche se andassi / nella valle oscura / non temerei alcun male / perché Tu sei sempre con me / Il tuo bastone e il tuo supporto / mi confortano».
Questa canzone, che è diventata un simbolo della Shoah, è stata composta ben dopo quei tempi, nel 1979, da Elie Botbol, psichiatra e musicista, che ha vissuto molti anni a Parigi per poi morire a Gerusalemme. Botbol compose la canzone per una corale che lui stesso creò, di ebrei francesi di età fra i 15 e 17 anni. La corale fu chiamata Les Chévatim, traslitterazione della parola ebraica che significa “tribù”, in riferimento alle 12 tribù di Israele. Questo brano, nell’arrangiamento di Ennio Morricone, fu inserito nella colonna sonora del film Jona che visse nella balena: divenne noto al grande pubblico e si è consolidato come una delle canzoni più frequentemente legate alla Giornata della Memoria. Anche se il testo di Gam Gam è radicato nella tradizione ebraica, il suo messaggio è universale. Esprime il coraggio e la speranza di fronte alla sofferenza e alla paura. E soprattutto ricorda i bambini. Quelli ammazzati nell’orrore della Shoah. Ma anche quelli di oggi, uccisi nei recenti conflitti armati, rimasti orfani per la guerra, vittime di violenze o costretti a sfollare a causa di conflitti.
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