Galantuomini e musi lunghi

Erano gli anni del primo dopoguerra, quelli febbrili della ricostruzione.Anni difficili per tutti, ma pieni di speranza nel futuro e di voglia di lavorare per costruirlo migliore. E c’era un uomo al quale, come a quello della parabola evangelica, molti operai chiedevano di andare a lavorare nella sua vigna. Lui non li respingeva mai. Dava ad ognuno il pattuito, spesso in anticipo; e quando, alla resa dei conti, qualcuno non arrivava a pareggiarli, gli condonava il debito. Quell’uomo era mio padre. Io ero bambino, ma già capivo che, di quel passo, per aiutare i poveri avremmo finito per diventare poveri noi. Glielo dissi, e lui mi tranquillizzò. C’era un signore molto più ricco di noi, mi spiegò, che ci dava gratis il sole e l’acqua per far maturare quell’uva. I conti con lui non li avremmo pareggiati mai, ma lui continuava a farci credito. Non erano in molti a pensarla così, ma non era il solo a darsi un codice di vita evangelico e, di quando in quando, si compiaceva di farmeli conoscere, quei pochi. Li chiamavano galantuomini e la loro parola valeva più di un qualsiasi scritto. Al suo funerale vennero tutti quegli operai, e avevano gli occhi lucidi, come per la scomparsa di un parente stretto. Oggi, quando incontro i loro figli, incontro quasi sempre degli imprenditori. Ora quasi mi stupisco di avere raccontato questo squarcio di vita vissuta, ma mi rendo conto che a dare la stura a questi ricordi è stato proprio il paradosso che stiamo vivendo: che in un paese, cioè, in cui il benessere si è così largamente diffuso, anche se in maniera ineguale, nessuno, ma proprio nessuno più, si dica contento. Ci abbiamo fatto caso che a sorridere ci sono rimasti solo gli immigrati, relegati quasi sempre a lavori precari: lavavetri, vu’ cumprà, badanti e netturbini che hanno conservato il senso del valore della vita e sanno chiedere senza pretendere? Per carità, non mancano motivi per essere arrabbiati o quantomeno tristi: ci sono sperequazioni gravi che gridano vendetta, soprusi e ingiustizie; comportamenti mafiosi e violenze d’ogni genere riempiono le cronache, suscitano sdegno e proteste, ma tutto finisce quasi sempre per dissolversi in un grande corale lamento. In campo statistico siamo ancora fra i dieci paesi più ricchi del mondo; in Europa, fra quelli che hanno ridotto di più la disoccupazione, ma siamo anche il paese dove si fanno meno figli; e il tasso di natalità è inversamente proporzionale al reddito. Sempre più figli di immigrati riempiono le nostre scuole materne. Forse per questo abbiamo conquistato la palma della tristezza e la portiamo ben alta. Una recente inchiesta ci ha assegnato questo primato in Europa, laddove i più contenti e sicuri di sé figurano i nostri cugini spagnoli che hanno invece il primato dell’intraprendenza, del successo e della gioia di vivere. Ma allora, tutte le inchieste che abbiamo fatto su Città nuova sulla povertà?… È tutto vero.Anche da noi c’è chi è sempre più ricco davanti a chi si impoverisce. Ed è evidente che questo governo non ha fatto abbastanza – ma forse neppure i precedenti – o si è mosso troppo tardi per venire incontro alle fasce più deboli, alle famiglie numerose. Probabilmente ha ragione chi afferma che il paese sta vivendo al di sopra delle proprie possibilità. E infatti, davanti alle periferie che mostrano il degrado e talora la miseria, i negozi del centro città esibiscono quasi più soltanto capi firmati. Sulle autostrade sfrecciano cilindrate sempre più potenti; si sono diradate le utilitarie, mentre i mille accessori, per lo più superflui, che corredano le vetture costano all’acquirente quasi quanto il motore delle stesse. Il nostro parco macchine, comunque, è fra i più nutriti d’Europa. I prezzi delle case e degli affitti sono lievitati oltre ogni decenza, nonostante tre quarti degli italiani vivano in case di proprietà. Come non preoccuparsi poi delle prospettive che apre la nuova legge appena approvata sulla devolution? Pur senza entrare nel merito delle scelte tecniche fatte, anche i vescovi italiani non hanno mancato di mostrarsi preoccupati, ricordando che la gestione della salute deve avere livelli di assistenza uguali per tutti. Si vedrà dunque se e come funzioneranno i meccanismi che dovranno ammortizzare le inevitabili sperequazioni. Insomma, è giusto chiedere ragione a chi guida il paese del suo operato, e presto lo si farà efficacemente con il voto,ma non si può gridare sempre e soltanto allo sfascio senza che ciascuno interroghi anche sé stesso. Di fronte a questo quadro dalle tinte inevitabilmente scure, fortunatamente il nostro paese ne presenta un altro ben diverso. Non siamo infatti soltanto il paese degli arricchimenti illeciti e truffaldini, dell’egoismo generalizzato e degli sperperi a spese della comunità. In Italia è cresciuta anche a dismisura la generosità indotta dal senso di responsabilità verso chi soffre. Milioni di persone sono dedite al volontariato e stanno offrendo una testimonianza più che positiva. Possiamo dunque tranquillamente annoverare anche costoro fra quelli che non incrementano il numero dei musi lunghi. Al contrario, troppo spesso in chi fa politica, ma anche in chi fa informazione, è assai carente il rispetto per gli altri, avendo costoro resuscitato un linguaggio del tutto irrispettoso della persona e troppo spesso anche della verità; un linguaggio che, per intenderci, una volta era appannaggio dei regimi dittatoriali. Davvero non vorremmo arrivare all’appuntamento con le urne turbati come siamo ora da tanta gratuita animosità, finendo per essere indotti più che a schierarci a disertarle. Ci rimetteremmo tutti. Quel galantuomo di cui parlavo all’inizio, vide i suoi figli abbandonare le vigne per occuparsi d’altro, e qualcuno tentò di consolarlo. Non ce ne fu bisogno. Sa quale è stato il dono più bello che ho avuto dai miei figli? – si sentì rispondere -.Nessuno di loro mi ha chiesto mai qualcosa di modo che per accontentare l’uno mi sia trovato costretto a scontentare l’altro.

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