Galantino: l’eucarestia è un dono

Il segretario generale della Cei traccia per Città Nuova un filo rosso che lega gli ultimi grandi avvenimenti ecclesiali: Firenze, Genova, Assisi. Lo incontriamo nel Porto antico di Genova a margine del Congresso eucaristico 2016
Nunzio Galantino

Un bilancio del 26° Congresso eucaristico nazionale di Genova che si è appena concluso?

Il bilancio non è legato solo alla celebrazione del Congresso ma a tutto quello che è stato fatto per arrivare fino a Genova. Il bilancio è diversificato. Le comunità, le chiese, i gruppi che sono riusciti a compiere un percorso di preparazione al Congresso sono arrivati con la voglia di incontrare altri che hanno fatto lo stesso percorso per poter mettere in comune quello che di bello e di buono ci viene dall’incontro con Cristo, l’Eucaristia e i fratelli. Chi non ha fatto la preparazione rischia di considerare il Congresso eucaristico solo dei giorni nei quali ci sono state un concentrato di solenni celebrazioni. Evidentemente è una lettura molto parziale del Congresso. È, invece, il luogo, il tempo, l’esperienza, nella quale la Chiesa come tale si ritrova per ricordare che è nata da un dono: «Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio Corpo offerto in sacrificio per voi (…). Prendete, e bevetene tutti: questo è il calice del mio Sangue…». È nata da un dono per essere un dono. La Chiesa che nasce dall’Eucaristia diventa così una realtà dinamica, impegnata, attenta alla storia.

 

Che messaggio di comunione, unità potrebbe lanciare al Paese questo Congresso eucaristico?

Lancia un messaggio laico per tutti: ritrovare una comunità così grande come la Chiesa cattolica italiana che riflette sul dono dell’Eucaristia perché essa si faccia dono. Tanti uomini, donne, giovani sono richiamati e recuperati a una responsabilità di fronte a questo nostro mondo, per rendere il Paese meno oppresso dall’egoismo, dalla chiusura. Si chiude il cerchio solo quando l’Eucaristia diventa un dono fatto agli altri.

 

Dopo il Convegno ecclesiale nazionale di Firenze, Genova è un ulteriore passo avanti o si è tralasciato il cammino che si era intrapreso?

Nella mia esperienza ho visitato tante diocesi italiane e ho conosciuto tante comunità occupate e preoccupate di dare continuità a Firenze perché non dimentichiamo che il papa disse il 10 novembre che «non è suo compito assegnare i compiti», ma ognuno deve scegliere la parte di responsabilità che gli spetta per realizzare questo nuovo umanesimo, aperto, disponibile, permeato della logica di Cristo, di donazione.

 

È in corso il convegno di Assisi. Secondo lei che contributo possono portare le religioni per la pace?

C’è un filo rosso che lega Firenze, Genova e Assisi è Cristo. A Firenze abbiamo compreso che rivivendo i suoi sentimenti noi possiamo contribuire a creare un nuovo umanesimo. A Genova scopriamo che è un umanesimo, come ci insegna l’Eucaristia, che si fa dono. Assisi è il luogo dove viene condannata ogni discriminazione e l’Eucaristia è la condanna di ogni egoismo. Discriminazioni e egoismi che sono pretestuosamente attribuiti alle religioni.

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