Galantino critica gli Hot spot in mare. Non sono strumenti di accoglienza
Le parole di monsignor Galantino, segretario della Cei, rilasciate al quotidiano “La Repubblica” continuano a cadere con la forza di un macigno sulle scrivanie di chi decide le politiche di respingimento dei migranti. Parole molto condivisibili, che intervengono su un tema di cui poco si viene a sapere perché nulla trapela dai corridoi ministeriali.
L’Unione Europea insiste affinché l’Italia trattenga i migranti entro i propri confini dividendo velocemente i migranti cosiddetti economici, che devono essere rimandati indietro, da coloro che hanno i requisiti per ottenere in Italia e in Europa l’asilo politico.
Attualmente questa distinzione viene fatta negli hot spot, ossia in luoghi prossimi ad alcuni porti di sbarco (Lampedusa, Pozzallo, Trapani) ma l’idea che sta circolando da alcune settimane è che questa divisione venga fatta addirittura in mare, sulle navi dei salvataggi o sulle piattaforme petrolifere in disuso, in modo da ridurre a zero il “pericolo” che qualche immigrato povero possa tentare di sfondare le frontiere del Brennero o di Ventimiglia con le conseguenze a cui assistiamo da mesi.
In realtà la soluzione dell’hot spot in mare sembra nata dal desiderio dell’Italia di rispondere alle pressioni degli altri Stati europei più che da un ragionamento intelligente e legale. I titoli sui giornali sono molto vicini ad un ping-pong tra Italia e Unione, solo che i migranti rappresentano la pallina che rimbalza da un lato all’altro del tavolo senza che nessuno la raccolga.
Anche gli hot spot sono molto criticabili e già alcune organizzazioni umanitarie e giuridiche hanno avviato degli approfondimenti per valutare le modalità di accoglienza e di orientamento legale che vengono rese agli immigrati. La Camera ha costituito un’apposita commissione di inchiesta sui centri per stranieri e i suoi componenti stanno girando tra i vari hot spot per vedere con i propri occhi cosa significa sbarcare in Italia ed essere bloccati in un centro di accoglienza in condizioni di sovraffollamento e promiscuità.
Fortunatamente anche dall’Europa è arrivato un segnale di dissenso rispetto alle identificazioni in mezzo al mare, ma la partita è ancora aperta e tutta da giocare. Tuttavia nessuno pone le domande fondamentali sottostanti a questa situazione: perché l’Europa non si assume le proprie responsabilità – storiche e attuali – sulle povertà e gli sfruttamenti che ha provocato in Africa? perché i poveri non possono rimanere in Europa? Domande scomode, ma dobbiamo iniziare a farcele per trovare argomentazioni e soluzioni da sottoporre ai tavoli dei politici del momento.