Gabriela Mistral: una donna forte dallo sguardo triste

È nata in Cile tra monti scoscesi bruciati dal sole anche in pieno inverno, figlia di una famiglia povera. Insignita del premio Nobel per la Letteratura (1945) ha influito nello sviluppo del sistema educativo di vari Paesi, pur senza aver mai frequentato studi formali.
Fonte: Wikipedia

L’autostrada 5 arriva a La Serena da Santiago costeggiando il Pacifico; un incantevole continuo saliscendi di promontori, scogliere, spiagge disseminati su piccoli golfi. Se si prende la strada che in direzione est si inoltra nella Valle del Sole – dove ancora vivono tanti trentini – questa poi si trasforma nella valle dal fiume Elqui, che la solca scendendo dalle Ande. Il panorama muta, appaiono terre coltivate in gran parte a vite ed avocado, poste in una inclinazione a 45% sul fianco dei monti, e quasi parrebbe impossibile lavorarle. Sono le propaggini delle Ande che, appena 70 km dopo appaiono, maestose, quasi in attesa di essere visitate. Alle porte di questa catena, placida, quasi dormiente si estende la cittadina di Vicuña, dove tante case sono ancora di adobe, il materiale più povero che si conosca: fango misto a paglia, al quale si dà la forma di mattone per poi lasciarlo seccare al Sole. Adobe deriva dall’arabo: al-tub.

Valle dell’Elqui

È qui che nell’aprile del 1889 nasce Lucilla de María Godoy Alcayaga, da Juan Jerónimo, professore ma anche poeta di origini spagnole, e da Petronila Alcayaga Rojas, di origini basche. Il mondo la conoscerà più tardi come Gabriela Mistral, una delle maggiori voci poetiche della letteratura, insignita nel 1945 con il premio Nobel.

Non è facile essere poveri in queste terre arse dal sole cocente anche in pieno inverno. Con Lucilla ancora in fasce, la famiglia si trasferisce nelle valli che si inerpicano tra le Ande, prima a Pisco Elqui (il pisco è la classica acquavite cilena) e poi a Montegrande, dove sarà maestra e ufficiale delle poste.

Lucilla ha appena tre anni quando il papà se ne va, ma lei lo difenderà sempre. Anzi, la scoperta di alcuni versi paterni sarà decisiva per dirigere la figlia verso il mare della poesia. Più tardi, per guadagnarsi da vivere comincia a lavorare come professoressa aiutante. Siamo nel 1904. Quattro anni dopo ottiene l’incarico come maestra in varie scuole e, nel frattempo, scrive sui giornali della regione. Non ha i soldi per studiare al magistero ed è praticamente autodidatta. Nel 1910 ottiene il titolo di “professoressa di Stato” perché, pur non avendo frequentato l’Istituto pedagogico dell’Università cilena, ottiene la convalida delle sue conoscenze. Ma questo non basta e porterà su di sè questo stigma ovunque insegnerà, anche quando sarà nominata direttrice, sempre criticata dai colleghi perché non ha il titolo di studio. Un esempio di una non poco frequente mediocrità, incapace di riconoscere il sapere e differenziarlo dai titoli formali. Lucilla sarà infatti invitata a collaborare col governo del Messico a sviluppare il sistema d’istruzione che tutt’oggi mantiene gran parte della sua impostazione. Ormai comincia ad essere conosciuta ed è invitata a Santo Domingo, Cuba, Puerto Rico e in tutti i Paesi centroamericani. In Spagna vengono pubblicate le sue poesie ed è segnalata sempre più come un punto di riferimento per la poesia sudamericana. Nel frattempo ha cambiato nome e si firma Gabriela Mistral, in onore di Gabriele D’Annunzio e di Frédéric Mistral, scrittore francese in lingua occitana.

Gabriela Mistral. Fonte: Wikipedia

Sono gli anni ‘20 e sebbene a Santiago i suoi libri siano pubblicati in edizioni finanche di 20mila copie, la situazione politica nazionale la spinge a vivere all’estero. Prima segretaria di una sezione della Lega delle Nazioni, poi a Ginevra presso la Società delle Nazioni. Continuerà all’estero fino alla sua morte, come console in vari Paesi, tra questi gli Stati Uniti, dove vivrà a lungo tra Los Angeles e Long Island. Questa donna senza il famoso “pezzo di carta” sarà una figura influente su scrittori come Pablo Neruda ed Octavio Paz. Il Nobel arriva nel 1945, mentre vive insieme a una sua grande amica: la scrittrice Doris Dana. Al suo arrivo trionfale nel suo Paese – accolta da un arco di trionfo di fiori – viene insignita anche del Dottorato Honoris Causa da parte dell’Università del Cile.

La vita di Gabriela non è comunque facile. Il vero amore della sua vita si suicida quando, ancora giovani, avevano iniziato a frequentarsi. Non si sposerà mai. Decide di accogliere in casa un nipote, ma anche lui fa una tragica fine suicidandosi a 18 anni, in Brasile. Si insisterà, nonostante lei e la sua amica Doris lo abbiano negato, sulla sua omosessualità, come se fosse necessario scandagliare l’intimo di un artista, per sapere più di quanto egli stesso voglia dire di sé. Come se fosse necessario altro. Ma la forza dolce e possente della sua parola continua ad affermarsi. Una forza che, pur ammettendo disfatte, non è mai una resa.

Dove ci sia da piantare un albero, piantalo tu.

Dove ci sia da correggere un errore, correggilo tu.

Dove ci sia uno sforzo che tutti schivano, fallo tu.

Sii tu colui che apparta la pietra d’inciampo”.

Il suo corpo è tornato a Montegrande dove finalmente riposa. La sua anima è sparsa per il mondo.

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