G20, dialogo tra sordi, ognuno fa i suoi interessi
Le cronache del summit del G20 provenienti da Hangzhou parlano di accordo di facciata sui grandissimi princìpi (come la necessità di far crescere meglio e di più l'economia mondiale o sulla necessità di contenere la crescita della temperatura del pianeta), ma nei fatti e nel dettaglio una grande dispersione di intenti. Ogni leader politico è alle prese coi suoi problemi (semplice inventario: Brasile e il caso Rousseff; Turchia alle prese con le conseguenze del golpe; Russia con la crisi economica dovuta al basso petrolio; Merkel con la sconfitta elettroale nel "suo" lander; Obama ormai sul viale dell'addio; Hollande con il terrorismo e la crisi economica alle porte; Renzi e la sua sfida del referendum; la Spagna e i suoi governi mancati…).
Specchio della mancanza di concretezza appare la questione siriana, la guerra più pericolosa sul tappeto, per via dei tanti interessi contrapposti: l'entrata in forza della Turchia sullo scacchiere, col fine di separare il Kurdistan iracheno da quello siriano, onde evitare la creazione di uno Stato indipendente curdo, ha rimesso in discussione le poche speranze di tregua che erano cresciute per qualche timido abboccamento registrato tra Washington e Mosca. Ora siamo di nuovo in alto mare (basta osservare le foto della freddissima stretta di mano tra Obama e Putin), e chi ci rimette sono come sempre i più poveri, coloro che non hanno nemmeno i soldi per fuggire dall'inferno di tante frontiere infra-siriane.
L'unica cosa che è apparsa evidente a Hangzhou è la costatazione che l'asse dell'economia (e della politica) mondiale s'è spostato dall'Oceano Atlantico a quello Pacifico. Con conseguente emarginazione di un'Europa che avanza ostinatamente in ordine sparso senza voler guardare la realtà.