Il futuro incerto di Patrick Zaki
Su Patrick Zaki si è detto molto in Italia, da quando il 27 enne egiziano, ricercatore all’Università di Bologna, è stato arrestato il 7 febbraio scorso, appena tornato in Egitto per una visita alla famiglia. Quello che forse è meno noto è che Zaki alle presidenziali 2018 in Egitto era stato il manager di un candidato concorrente di Abdel Fattah al-Sisi, l’avvocato Khaled Ali. Candidatura che Ali aveva peraltro spontaneamente ritirato prima delle elezioni, poi vinte proprio da al-Sisi con oltre il 97% dei voti. Khaled Ali è anche noto in Egitto per aver vinto una battaglia giudiziaria contro il governo sulla vendita all’Arabia Saudita di due isole egiziane del Mar Rosso.
Se a questo si aggiunge l’impegno di Patrick Zaki per documentare sul web le violazioni dei diritti umani nel suo Paese, è facile intuire che fosse attentamente monitorato, e non è neppure difficile capire il perché delle imputazioni che gli sono state contestate: fomentare le manifestazioni e il rovesciamento del governo, pubblicare notizie false sui social minando l’ordine pubblico, promuovere l’uso della violenza e istigare al terrorismo.
Dopo le reazioni a Bologna e in Italia al suo arresto, la campagna ufficiosa contro Zaki sta diventando in Egitto decisamente molto pericolosa: in un programma televisivo di qualche giorno fa, un noto giornalista vicino al regime avrebbe insinuato che Zaki è andato a Bologna a fare un master sull’omosessualità e che collabora con il rappresentante di un’associazione di omosessuali, che a sua volta è stato fermato dalla polizia perché voleva rovesciare il governo, aderiva ai Fratelli Musulmani ed era finanziato dal Qatar. Insinuazioni, ma quanto basta per andare oltre i diritti umani secondo una logica inesorabile che raccoglie sempre e dovunque molti adepti fra gli uomini.
Ma forse vincerà l’opinione pubblica, se continuerà a sostenere la liberazione di Patrick Zaki. Siamo in molti a sperarlo.