Futuro formato famiglia
Il primo antidoto al disagio sociale. Ma servono una nuova unità e nuove leggi che la sostengano, anche dal governo Monti.
Secondo le statistiche ufficiali, le famiglie italiane sono ancora tra quelle, in Europa, con maggiore disponibilità di risparmi e case di proprietà; ma se andiamo a guardare nel quotidiano la situazione è più complessa. C’è una vulnerabilità crescente, specialmente in caso di malattia o perdita del posto di lavoro, una difficoltà ad arrivare a fine mese, una fragilità di coppia, l’incapacità dei genitori di trasmettere valori e cultura ai figli. Oltre alla solitudine di chi avverte che lo Stato non aiuta ad andare avanti, anzi è sempre pronto a chiedere sacrifici.
Eppure dovrebbe essere ormai chiaro che la famiglia è ben più della somma dei suoi membri, che è una fucina di energie a vantaggio della società. Lo si vede chiaramente quando manca il suo apporto: se da lei non nascono figli, la società invecchia e sono guai. Se non si prende cura degli anziani, i costi sociali diventano insostenibili. Se non educa i figli, non c’è asilo o scuola che tenga, arrivano delinquenza e devianza giovanile. Se i genitori si dividono, il tessuto sociale si lacera e disgrega. Se manca l’aiuto intergenerazionale che solo lei sa garantire, crescono sfiducia, povertà, depressioni e ingiustizie. Insomma, pur con tutte le sue contraddizioni e tensioni, la famiglia è il primo antidoto al disagio sociale generalizzato.
E infatti, anche se gli stili di vita cambiano velocemente, la stragrande maggioranza dei giovani continua a mettere la creazione di una bella famiglia ai primi posti nelle aspettative di vita. Per il futuro dell’Italia, dunque, possiamo ipotizzare scenari alternativi basati sull’individuo singolo, strutturare la società secondo nuove e fantasiose geometrie, ma pensiamoci bene prima di abbandonare la famiglia, il “corpo sociale” per eccellenza, che non è retaggio del passato, ma scommessa per il domani del Paese. Conviene sostenerlo in tutti i modi, mantenendolo vitale e soprattutto unito. Non solo agendo sul fisco (vedi l’articolo che segue).
Non è infatti solo un problema di tassazione: in questi ultimi anni ogni singolo componente della famiglia è sembrato allontanarsi dagli altri per cercare autonomamente la propria realizzazione personale. Forse era necessario. Ma ora è tempo di ricostruire una nuova coesione. Per farlo, per rilanciare la famiglia, serve allora mettere in vetrina quelle che in ambito professionale si chiamano best practice, cioè gli esempi efficaci, le pratiche migliori, i casi di successo da proporre come modelli. Per fortuna qualche modello c’è (nel box ne proponiamo uno di rilievo, quello di Chiara Lubich). L’importante è cambiare mentalità, scommettere di nuovo sulla famiglia come risorsa per il futuro: ha ancora molto da dire. E da dare.
Giulio Meazzini
Mangiare, vestire, educare
Basta camminare per le vie di un quartiere “bene” come quello di Prati, a Roma, per rendersi conto di come sia vero che i ristoranti chic sono pieni di gente nonostante la crisi. Ma tra quei palazzi di stile umbertino, a due passi da piazza san Pietro, c’è anche l’insegna dell’agenzia del Monte dei pegni, un’istituzione che sembra appartenere ai tempi del Totò di Miseria e Nobiltà e che, invece, continua a rappresentare una scappatoia di ultima istanza. Si portano i gioielli di casa ricevendone due terzi del valore, sperando di poterli riscattare prima o poi, per non vederli finire all’asta. Il boom dei negozi di “compro oro” è l’altra faccia del fenomeno della mancanza di denaro. Sembra che nelle case degli italiani ci sia la stessa quantità di metallo prezioso depositato presso la Federal Reserve statunitense. Ma, allo stesso tempo, nel triennio 2008-2011 ben 190 mila piccole imprese, prevalentemente a conduzione familiare, hanno chiuso per il carico di debiti che li ha esposti all’usura.
Ostaggi
Cosa dicono queste immagini che accompagnano i nostri giorni di fine 2011? Che la ricchezza esiste ma è distribuita in maniera sempre più ineguale, come confermano tutte le ricerche sul campo. I numeri che fanno più impressione sono quelli raccolti e messi in ordine da Nunzia Penelope. Nel suo libro Soldi rubati (Ponte alle Grazie) arriviamo a cifre da capogiro, dai 120 miliardi di euro l’anno di evasione fiscale ai 60 miliardi di euro mangiati dalla corruzione, mentre 500 miliardi di euro sarebbero i capitali nascosti da proprietari italiani nei paradisi fiscali. Importi che una manovra finanziaria non può mettere in bilancio perché nessuno può assicurare il loro recupero. Non sono numeri certi, come invece lo sono le cifre riconosciute per sostenere i redditi delle famiglie.
Tagliare la detrazione per i familiari a carico è molto più facile, fin troppo. Solo che quei soldi riconosciuti per dare da mangiare, vestire o mandare un figlio a scuola erano già pochi molto prima del manifestarsi di una crisi economica che ci fa sentire, come nota la relazione annuale del Censis, «ostaggi dei poteri finanziari». La scomparsa del ceto medio è uno degli effetti largamente previsti della globalizzazione senza regole, anche se il caso italiano è particolare. Il servizio studi del Senato italiano, nel 2008, ha fatto una simulazione partendo dal caso di una famiglia con 25 mila euro di reddito e due figli a carico arrivando alle seguenti conclusioni: in Francia pagherebbe 52 euro di imposte, 628 in Germania, 2.300 in Italia.
E non si tratta di creare privilegi per nessuno, ma solo di accorgersi, come notava Ermanno Gorrieri oltre trent’anni fa, che per comprendere chi sono i veri sfruttati bisogna analizzare i bilanci familiari alla ricerca della concreta «disponibilità spendibile individuale». Facendo due conti, l’Associazione famiglie numerose è giunta alla conclusione che, di fronte al fisco italiano, converrebbe fingersi separati. A meno che non si cominci una campagna di disobbedienza civile non versando le imposte perché contrarie al principio di uguaglianza della Costituzione. Ma ve lo immaginate un contenzioso con Equitalia che arriva fino a mettere le ganasce sull’auto?
Bilancio familiare
Resta il fatto che, come ha notato l’ultima ricerca del Cisf, in un Paese in cui «la distribuzione dei redditi familiari sembra da Terzo mondo, con il 60 per cento della popolazione che vive con un reddito familiare inferiore a 1.500 euro al mese», l’unica via per sopravvivere decentemente consiste nella rinuncia ad avere figli. I casi esposti nel documentario del 2007 di Silvia Ferreri, Unovirgoladue, dimostrano come la prevalenza delle ragioni del profitto sulla vita nascente sia all’origine del grande inverno demografico, descritto da una ricerca del 2011 sostenuta dai vescovi italiani. Seicentomila nascite all’anno, per una nazione di 60 milioni di persone, vuol dire, secondo gli statistici, che mancano 150 mila nuovi nati per assicurare almeno il ricambio generazionale.
E questo semplice dato conduce ad altre domande interessanti. Come mai una popolazione in costante diminuzione vede crescere senza sosta la quantità di case dagli importi che obbligano a stipulare mutui eccessivi? Si finanziano le banche per tutta la vita a scapito di beni essenziali per la propria famiglia. E perché il mercato degli affitti ci ha consegnato un 2010 con il raddoppio del numero degli sfratti per canoni non pagati? Come spiega l’urbanista Giovanni Caudo, i piani di edilizia economica e popolare sono, di fatto, fermi al 1988, mentre risulta del tutto carente l’offerta per quella crescente «fascia sociale non così indigente da poter accedere alla casa popolare ma neanche di poter accendere un mutuo». Aumentano, così, i profitti e le compravendite di immobili, ma non il numero di abitazioni per chi ne ha bisogno.
Presidio di gratuità
Se si vuole abbandonare la retorica e partire dai fatti, la famiglia è il criterio portante di equità per valutare ogni tipo di scelta economica e politica. E questo dovrà valere per valutare tutte le novità che ci attendono dal 2012 con il governo Monti, chiamato, dopo la fase di riscaldamento a bordo campo, al compito di evitare il fallimento dello Stato. Sta emergendo, in piena crisi, la percezione della famiglia come un presidio di gratuità e condivisione che permette all’essere umano di rimanere tale. Sfatando ogni pregiudizio, una ricerca di Oscar Marchisio sulla “Bologna operaia” ha evidenziato come il legame familiare si riveli il fattore decisivo di resistenza al senso di solitudine e di rottura della relazione sociale. E questo grazie anche «all’autonomia di dipendenza dai media», cioè da quel modello ossessivo di consumo e di percezione della vita che conduce al «si salvi chi può».
Il rischio, infatti, per le famiglie è quello di diventare l’immagine rovesciata di sé stesse, di cedere al familismo amorale, cioè alla logica del clan che cura il proprio interesse e si disinteressa degli altri. Al contrario, è proprio a partire dall’esperienza concreta di tanti nuclei familiari che si dimostra come la ribellione a un sistema di cose che nega la vita non può durare un giorno o un attimo, ma si rende credibile nel patto che vuole durare per l’intera esistenza. Che sa attraversare anche l’umiliazione di un fido negato in banca o l’imposizione di un contratto precario. Che sa bene come la giustizia non vuol dire mettere tutti in fila al nastro di partenza, ma rendere accessibile una quota di benessere per tutti. In famiglia si fa così.
Carlo Cefaloni
Il capolavoro del matrimonio
Credo che il carisma dell’unità, innestato sull’istituzione sacra del matrimonio, compia un capolavoro tale di cui è forse difficile rendersi conto.
L’amore umano, continuamente perduto nell’amore divino e ritrovato, è di tale dolcezza ed emana un tale profumo da attirare certamente l’attenzione degli angeli su queste “piccole chiese”.
La presenza dei bimbi propri, ed ancor più di quelli adottati, attira l’attenzione di Maria che ama rivedersi in ogni mamma e la protezione di Giuseppe custode e patrono della grande Chiesa e quindi di ogni piccola chiesa, la famiglia.
Il desiderio d’approfondire l’unità matrimoniale in quest’epoca di divorzio vi mette tutti in prima linea in quel segno di contraddizione che ci deve distinguere.
La presenza nella famiglia di altri membri, nonni o zie, che partecipano al calore soprannaturale familiare, rende ancor più attraente il piccolo mondo della famiglia che, perché unito, sa aprirsi su tutti, ma specialmente sulle altre famiglie, onde farle partecipi della sua rinnovata gioia, del segreto di saper ben patire, tanto da suscitare nel mondo che la circonda una sacra invidia.
Chi più atti a ripetere – secondo le grazie ricevute e proporzioni fatte – le misteriose bellezze della famiglia di Gesù, di voi famiglie nuove?
Vi auguro che la gloria che darete a Dio sia immensa, senza limite e quanto più terreno guadagna il male in seno a tante famiglie, tanto più cammini, per mezzo vostro, il bene in seno ad altre.
La vostra Chiara
(Da un messaggio di Chiara Lubich al movimento Famiglie Nuove – 1974)
Incontro mondiale delle famiglie
Mancano sei mesi all’evento previsto a Milano dal 30 maggio al 3 giugno 2012. Responsabile dell’organizzazione è mons. Erminio De Scalzi, della diocesi ambrosiana, presidente della Fondazione Milano Famiglie 2012.
Quale lo stato dei lavori?
«Si prevede l’arrivo di un milione di persone: un’occasione unica di fraternità e testimonianza. L’accoglienza sarà a misura di famiglia, tra le mura delle case, ma anche “interiore”, un lasciarsi interpellare da stili di vita personali e familiari molto diversi dai nostri, per riscoprire stili di vita semplici e sobri. Il modello base dell’accoglienza è quello di famiglie che ospitano famiglie e parrocchie, decanati, diocesi, associazioni, gruppi, movimenti che accolgono famiglie».
“La famiglia: il lavoro, la festa”: un titolo calato nel concreto della vita.
«Il cardinale Scola, nella sua lettera Il bene della famiglia. Per confermare la nostra fede, scrive: “Il tema dà risposta a un aspetto decisivo della esperienza umana. Si intreccia ad altri due fattori, il lavoro e il riposo (festa), costitutivi dell’esperienza di ogni uomo e donna, per esprimere il nesso tra fede e vita e mostrare il grande realismo dell’esperienza cristiana”».
Quale modello di famiglia?
«Il tema interessa tutte le famiglie: italiane e di altri Paesi, cristiane e non cristiane, credenti e non credenti, che conservano l’unità del vincolo matrimoniale o che vivono l’esperienza della separazione, praticanti o lontane dalle parrocchie. Perché parlare di lavoro e di festa significa ragionare di due parole fondamentali per la vita dell’uomo, che chiamano in causa la fede e la ragione, la Chiesa e la società».
Silvano Gianti
(Per il testo completo dell’intervista clicca qui).