Fuori le mura

San Paolo
Lo incontriamo per la prima volta, giovane e fanatico fariseo, fuori le mura di Gerusalemme, consenziente alla lapidazione di Stefano, il primo martire cristiano. Di nuovo fuori le mura, ma di Damasco, dove è diretto, viene folgorato dalla luce di Colui che inconsapevolmente combatteva nei suoi discepoli. Più tardi, ormai convertito e già ardente apostolo nella nuova fede, lo sorprendiamo di notte, mentre si fa calare in una cesta fuori le mura di quella stessa città per sottrarsi alle insidie dei giudei. Da persecutore a perseguitato. E ancora fuori le mura – le condanne a morte venivano eseguite all’esterno dei centri urbani -, come in una pena del contrappasso, lo ritroviamo miracolosamente sopravvissuto a più lapidazioni. Quante altre mura di città saluterà da lontano, e a quante darà l’addio, deluso o trepidante di gioia, accolto o scacciato, questo pellegrino lungo le vie dell’Impero? Sempre fuori, allo sbaraglio, per rincorrere quasi ed abbracciare quanti più possibile per renderli partecipi della salvezza che è Cristo. Indomito viaggiatore fino all’ultima tappa della Città Eterna, coronerà fuori delle sue mura un’esistenza così straordinaria, trovando finalmente riposo in una stupenda basilica a lui, Paolo, dedicata. Proprio lì dove ha preso l’avvio, il 28 giugno scorso, l’anno che celebra il bimillenario della sua nascita. Sì, Roma ha il privilegio di custodire il corpo dell’apostolo delle genti, giunto qui da Cesarea, una prima volta forse nella primavera del 61, per essere giudicato davanti al tribunale dell’imperatore, cui si era appellato in quanto cittadino romano. Nella capitale dell’Impero Paolo ottiene di poter vivere in libertà vigilata nell’attesa di un processo che probabilmente non avrà luogo per assenza degli accusatori. Forse non è più qui già nel 64, inizio della persecuzione di Nerone. Che ne approfitti per recare l’annuncio della Parola anche in Spagna, allora ritenuta l’estremo limite dell’Occidente, o per dirigersi in Asia Minore e in Grecia, non è dato saperlo con certezza. Fatto sta che lo ritroviamo nell’Urbe dopo l’incendio del 64, nel periodo più duro delle persecuzioni neroniane, di nuovo in catene. Un nuovo processo, questa volta conclusosi con la condanna alla pena capitale. L’itinerario qui proposto offre spunti per rivivere l’ultimo periodo di questa figura eccezionale di evangelizzatore, senza la quale è forse impensabile la cultura cristiana così come l’abbiamo ereditata. San Paolo alla Regola. Paolo rimase due anni interi nella casa che aveva preso in affitto, e riceveva tutti quelli che andavano da lui. Egli annunziava il regno di Dio e insegnava tutto quello che riguarda il Signore Gesù Cristo con grande coraggio e senza essere ostacolato. Qui, tacendo le vicende successive, s’interrompe il racconto degli Atti. Un antichissimo apocrifo indica come sua abitazione un granaio (horreum) presso il Tevere, là dove ora sorge la chiesa di San Paolo alla Regola. Un dato abbastanza plausibile, in quanto questa zona era abitata prevalentemente da ebrei dediti alla tessitura e tintura dei tes- suti, fra i quali Paolo, che era fabbricante di tende, poté trovare degli agganci per comunanza di mestiere. In effetti le indagini archeologiche hanno attestato la presenza, nei pressi, di un granaio e di altre strutture della fine del I secolo d. C. che possono darci un’idea del quartiere ai tempi di Paolo. Santa Prisca all’Aventino. Compatibilmente con il suo stato di semilibertà, Paolo può aver frequentato alcune domus ecclesiae, le case cioè dove si riunivano i cristiani attorno alla celebrazione della Parola e dell’Eucaristia: quegli stessi ai quali almeno tre anni prima egli aveva indirizzato una lettera considerata il suo capolavoro dottrinale. Tra queste domus, probabilmente, è da includere anche quella di Aquila e Prisca, la coppia di origine ebraica che più di altri collaborò con lui nei suoi viaggi missionari e, una volta a Roma, si prodigò al servizio della Chiesa locale. Oggi, sul luogo dell’Aventino dove la tradizione colloca la casa di questi coniugi, sorge una chiesa dedicata a santa Prisca. Santa Maria in Via Lata. Questa chiesa non lontana da piazza Venezia conserva nei suoi sotterranei la memoria di un altro luogo dove l’apostolo avrebbe dimorato nel suo secondo soggiorno a Roma poco prima del martirio (avvenuto il 29 giugno del 67 d. C., secondo la maggioranza degli storici). In particolare nella seconda Lettera a Timoteo – lettera che è il suo testamento spirituale – Paolo parla esplicitamente della sua prigionia a Roma, nell’abbandono e nella solitudine: Dema mi ha abbandonato avendo preferito il secolo presente ed è partito per Tessalonica; Solo Luca è con me; Nella mia prima difesa nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Non se ne tenga conto contro di loro. Carcere Mamertino. In questa prigione di massima sicurezza situata ai piedi del Campidoglio e davanti al Foro romano, furono rinchiusi e giustiziati famosi nemici di Roma come Giugurta e Vergingetorige. Secondo gli apocrifi Atti dei beati apostoli Pietro e Paolo, trascorsero qui i loro ultimi giorni di vita anche queste due colonne della Chiesa, fra prodigi (una polla d’acqua scaturita miracolosamente e tuttora esistente) e conversioni di carcerieri e altri compagni di prigionia. In seguito, questo carcere disposto su due livelli (il più profondo e antico è detto Tullianum) fu trasformato in un luogo di culto. Oggi vi si accede attraverso la chiesa di San Giuseppe Falegname, del XVI secolo. Via Ostiense. Tra gli odierni numeri civici 106 e 108 della via Ostiense, a circa trecento metri dalla basilica di San Paolo fuori le Mura, una lapide ricorda la cappella (non più esistente) detta della Separazione, eretta sul luogo dove avvenne l’ipotetico fraterno commiato tra Pietro e Paolo, ciascuno diretto al proprio martirio: il primo crocifisso a testa in giù sul Colle Vaticano, l’altro per decapitazione alle Aquae Salviae, presso la via Laurentina. Studi accreditati collocano tuttavia tale evento in anni differenti. Tre Fontane. Sul finire del XIX secolo, indagini archeologiche hanno attestato nel luogo corrispondente alle Aquae Salviae testimonianze risalenti al I sec. e tracce di una chiesa del V dedicata a san Paolo, attualmente parte dell’abbazia benedettina delle Tre Fontane. Nella vicina chiesa eretta sul luogo del martirio, nicchie poste su livelli distinti ospitano le tre fonti che si vogliono miracolosamente sgorgate dai rimbalzi della testa del- l’apostolo. Dietro una grata è esposta alla devozione dei fedeli la colonna alla quale egli sarebbe stato legato per la decapitazione. Necropoli Ostiense. Paolo venne sepolto in un’area cimiteriale lungo la via Ostiense, nel podere di una certa Lucina. Un piccolo tratto di questa necropoli pagana è visibile nei giardini accanto alla basilica di San Paolo fuori le Mura. La prima testimonianza dell’esistenza di questo sepolcro, riportata da Eusebio di Cesarea nella sua Storia ecclesiastica, è di un certo prete Gaio, che al tempo di papa Zefirino (197-217) scrisse, riferendosi a Pietro e a Paolo: Se vorrai recarti in Vaticano o sulla via di Ostia, troverai i trofei (cioè le sepolture dei martiri testimonianti la vittoria di Cristo) di coloro che fondarono questa Chiesa. Catacombe di San Sebastiano. Durante le persecuzioni di Valeriano (III sec.) i resti di Pietro e Paolo vennero trasferiti temporaneamente sulla via Appia presso le attuali Catacombe di San Sebastiano, ritenute un luogo più sicuro rispetto al Vaticano e alla via Ostiense. Nel luogo in cui si svolgevano banchetti rituali per i defunti (i cosiddetti refrigeria) fiorì un centro di devozione dedicato ad entrambi: la Memoria apostolorum. Scavi recenti hanno rimesso in luce questi ambienti le cui pareti ricoperte da graffiti ci hanno restituito invocazioni a Pietro e Paolo scritte in latino, greco ed aramaico. San Giovanni in Laterano. Una tradizione medievale vuole che le reliquie delle teste di entrambi gli apostoli, conservate dall’VIII secolo nel Sancta Sanctorum (la cappella privata dei papi nella prima loro residenza sul colle del Laterano), siano poi state trasferite da papa Urbano V, il 16 aprile 1369, nei due busti argentei visibili dietro le grate del magnifico ciborio che sovrasta l’altare centrale della basilica lateranense. San Paolo fuori le Mura. La basilichetta costantiniana edificata sul sepolcro di Paolo venne ampliata e abbellita sotto gli imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio (verso il 384-386) a causa del massiccio afflusso di pellegrini. Questo edificio di notevole ampiezza rimase pressoché intatto fino al disastroso incendio del 26 luglio del 1823, che lasciò peraltro indenne il sepolcro dell’apostolo sotto l’altare papale. L’attuale basilica è una ricostruzione quasi fedele di quella del IV secolo. Il sarcofago con le reliquie paoline è stato di recente (2006) reso visibile almeno per un lato. L’urna soprastante custodisce parte della catena cui sarebbe stato avvinto l’apostolo durante la sua prigionia romana. Vengono in mente le sue parole, riferite dagli Atti: È a causa della speranza d’Israele che io sono legato da questa catena, e il commovente commiato dal suo diletto discepolo Timoteo: Ma la parola di Dio non è incatenata!.
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