Funny woman: storia di un talento oltre la bellezza
La confezione è notevole: la Londra anni Sessanta in cui la trama si distende, piena di musica, abiti e colori vintage, colpisce dal primo all’ultimo frame.
Così come, tra i “sì” più convinti alla serie Funny Woman, tratta dal romanzo omonimo del popolare scrittore inglese Nick Hornby (e interamente disponibile su Sky dal 2 giugno scorso) c’è il personaggio femminile che la anima: una certa Barbara Parker, ottimamente interpretata da Gemma Arterton, nata nella provincia britannica di Blackpool dove è stata dichiarata vincitrice di un concorso di bellezza. Per niente soddisfatta da questo vuoto riconoscimento, però, al limite solo irrobustita emotivamente dall’incoronazione, la giovane decide di partire per la Swinging London a caccia del suo sogno: diventare attrice comica in tv. Ci riesce con copiosa fatica, con sana e degnissima lotta e col latente senso di colpa per aver lasciato l’amato padre in quel piccolo angolo di Inghlterra del Nord.
Sta nel suo schivare i colpi di un clichè che impedisce di vedere il talento oltre la bellezza esteriore, sta nel suo credere (senza se e senza ma) nel suo talento via via più robusto e splendente, nel suo riuscire a crescere umanamente con il successo ottenuto, a non farsi da questo travolgere e degradare, un bel pezzo del “perchè sì” al personaggio di Barbara.
C’è anche il suo sottile osservare i cambiamenti in corso senza giudicarli, ma anche senza abbracciarli con esagerata enfasi, piuttosto cercando di coglierne il senso, a rendere gustosa l’energica e onesta protagonista, il cui nome d’arte diventa Sophie Straw, conquistatrice del successo con una sit-com televisiva di rottura, un domicilio coniugale uomo/donna che non solo cavalca i cambiamenti in atto nel costume ma in qualche modo li anticipa, li alimenta con la sua scrittura tagliente, irriverente e coraggiosa.
Nei pregi, però sono nascosti anche i limiti di questa serie comedy dallo sviluppo narrativo non proprio sorprendente e vagamente didascalico, in cui ognuno dei personaggi, Sohpie/Barbara compresa, fa più o meno quello che dall’inizio ci si aspetta che faccia. È come se nella vistosa scorrevolezza di Funny Woman, ogni elemento (anche i temi del presente calati nei costumi di allora) stia “correttamente” al suo posto, e sia questo anteporre in qualche modo gli argomenti alla forza vitale, umana, verticale dei personaggi (eccezion fatta ma solo parzialmente per Barbara) a produrre un sapore relativo nel gustare i sei episodi totali della pur effervescente e interessante Funny Woman.
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