Funamboli sulla sabbia
Ibeachers, gli “spiaggiaroli” della pallavolo, rappresentano una delle famiglie più stravaganti e più allegre dello sport italiano. Curiosi cappellini e visiere, occhialetti da funambolo, abbigliamento coloratissimo di ispirazione hawaiana per i maschi, bikini più da passerella che da competizione per le ragazze. Eppure i soldi che girano sono sempre pochini, gli sponsor vanno e vengono, le televisioni trasmettono col contagocce, la base dei praticanti è disorganizzata. Non per questo il loro entusiasmo viene meno: forse perché, anche oggi che esiste un torneo mondiale ed un campionato italiano riconosciuto, non hanno scordato il sapore del collaudato “fai da te”. Negli anni Ottanta, fu Angelo Squeo, maglia azzurra del volley al coperto, ad innamorarsi, e far innamorare tanti compagni, della pallavolo sulla sabbia, beach-volley. Girava l’Ita- lia con un camion.Dove gli stabilimenti balneari gli aprivano le porte si fermava ed allestiva il suo piccolo circo del beach: montava i pali e la rete, recintava il campo, scaricava un frigo di bibite, chiamava gli amici ed il torneo era servito. La passione lo aveva colto sulla via della California, dove il beach-volley aveva visto le sue origini, sulle spiagge di Santa Monica, già negli anni Venti. Successivamente, negli anni della depressione, il beach-volley rappresentò uno svago a costo zero per molta gente della costa occidentale. Il primo vero torneo si disputò nel ’47. Per qualche decennio il suo sviluppo andò di pari passo a quello della vicina Hollywood e del mondo del cinema. Solo negli anni Settanta la disciplina recuperò a pieno la sua valenza sportiva: lo si capì quando cominciarono ad interessarsene gli sponsor. Diffusosi in tutto il mondo, il beach-volley conserva ancora nel leggendario torneo di Rio de Janeiro il suo spettacolare apogeo, ma è divenuto disciplina olimpica, dimostrativa ad Atlanta ’96, ed ufficiale ai Giochi di Sydney nel 2000.A farla da padroni non sono oggi solo gli atleti americani: occorre fare i conti con i fortissimi, e le fortissime, beachers del Brasile e dell’Australia. In Italia l’immagine che meglio inquadra i praticanti è una piramide rovesciata: ottimi (quinti a Sydney) e, tutto sommato, abbastanza numerosi atleti di vertice guidano una base praticamente inesistente. Il beach-volley conta oggi nella penisola persino più campi da gioco del calcio: quasi ogni stabilimento balneare, consapevole dell’indotto economico di ritorno fra bibite e sdraio, ne mette uno a disposizione. I suoi tanti appassionati sono però per lo più ancora occasionali o meglio stagionali. I cinquanta tesserati ufficiali (gli altri hanno la tessera del volley indoor) non rendono giustizia allo sport più praticato d’estate in Italia e non rappresentano certo un autorevole biglietto da visita da esibire alla cassa della ribalta sportiva dove sembrano contare solo i numeri. Si è cercato di organizzare dei tornei, di mettere ordine nel tesseramento, oggi ap- punto comune con il volley al coperto, di formare allenatori, di trovare sponsor e strutture per la pratica invernale, ma il movimento fatica a decollare. La diffusione e la promozione del beach-volley continuano perciò ad essere legati all’ostinato ed appassionato “fai da te” da parte di pochi: gli stessi atleti che difendono i colori azzurri in giro per il mondo, gestiscono, in proprio, campi, società sportive e scuole di avviamento al beach- volley. Un modo originale di mantenersi e creare discepoli: come se Vieri o Maldini, per pagarsi la partecipazione al mondiale, gestissero San Siro ed insegnassero ai ragazzini a giocare a pallone. Con l’aria che tira c’è poco da fare i preziosi:nemmeno il montepremicomplessivo del vincitore del campionato italiano permetterebbe ad un atleta di allenarsi tempo pieno.Alle quattro coppie che si avventurano in giro per mondo va un po’ meglio: oggi un 17° posto nel circuito mondiale vale come una vittoria in Italia. Eppure il fratello “povero”, e simpatico, della pallavolo, ha delineato i suoi contorni definiti: oggi un praticante del volley indoor deve allenarsi sodo per competere con gli specialisti del beach. Il gioco a sei tradizionale ha specializzato oltremodo i ruoli: il beach-volley mette in luce invece talenti più completi, dotati di tutti i cosiddetti fondamentali. Il gioco due su un campo otto per otto, infatti, comporta saper giocare di fila un gran numero di palloni, saper attaccare e difendere, alzare e schiacciare, murare e servire. Lo dimostra il fatto che le coppie di giocatori indoor che meglio si difendono sulle spiagge sono formate da palleggiatori o liberi. Non è tutto: occorre essere dotati di una ottima condizione fisica per saper giocare più partite, una dopo l’altra, in una stessa giornata, sul caldo della spiaggia, su un terreno sabbioso che richiede non indifferenti doti muscolari di rapidità ed elevazione. Non a caso i beachers sanno offrire uno spettacolo atletico esaltante: andate a vederli e a far provare i vostri ragazzi a cimentarsi nel beach-volley, durante il loro tour italiano.